Lultimo volume della saga del mago più conosciuto al mondo è stato distribuito nella versione italiana durante la notte tra il quattro e il cinque gennaio. Dopo sette libri, il primo dei quali è stato pubblicato in Italia nel 1998, finalmente giunge la tanto attesa fine del progetto ideato dallinglese Joanne Kathleen Rowling
Harry Potter e i Doni della Morte
Titolo: Harry Potter e i Doni della morte
Titolo originale: Harry Potter and the Deathly Hallows
Autore: J. K. Rowling
Traduzione di: Beatrice Masini
Editore: Salani
Pagine: 697
Prima pubblicazione in Italia: 2008
Harry Potter è il solo che può sconfiggere Voldemort, il più potente mago oscuro del secolo reso invincibile dai suoi horcrux, oggetti che racchiudono parte della sua anima e che devono essere distrutti per poterlo rendere mortale. La caccia agli oggetti maledetti inizia in giro per l’Inghilterra, ma si concentra in quei luoghi che alle volte sono importanti per Potter quanto per l’oscuro signore.
Così ha inizio l’ultimo volume della saga che ha per protagonista il mago dagli inconfondibili occhiali rotondi e dalla cicatrice a forma di saetta. Ma qualche difetto salta agli occhi anche per il più distratto dei lettori. Le critiche maggiori riguardano la fine della storia: JK Rowling si è difesa affermando che avrebbe voluto lasciare il lettore con la sensazione di trovarsi immerso nell’innaturale e spettrale nebbia della stazione di King’s Cross, ma come perdonarle il bisogno di chiarire il futuro di tutti i personaggi (protagonisti e non) solo tramite le numerose interviste rilasciate dopo il lancio dell’edizione inglese a luglio e non sulle ultime pagine de “I Doni della morte”? L’oramai celebre capitolo “Diciannove anni dopo” lascia quasi con l’amaro in bocca; dopo anni di pericoli e traversie, non si può non restare leggermente perplessi sull’aura misteriosa che avvolge i personaggi, quasi nascosti alla vista del lettore. Inoltre lascia un po’ a desiderare l’alternanza tra i momenti d’azione – alle volte così densi da sembrare confusi – e quelli di quiete che appaiono come superflui.
C’è chi ha rimproverato alla scrittrice di aver concluso la saga con un vero e proprio bagno di sangue che agli occhi dei fan più accaniti è sembrato sostanzialmente inutile. I lettori più attenti non potranno – infine – non rimproverare alla traduttrice italiana la trasposizione di una parola che, alla luce degli eventi finali del precedente libro, si è rivelata d’importanza pressoché fondamentale per i “Doni della morte”.
Ma nonostante questi lati negativi il libro si può considerare il migliore dell’intera saga. La profonda maturazione del protagonista è palese: Harry non è più il ragazzino che crede che l’intero mondo trami contro di lui e smette di atteggiarsi a piccolo eroe incompreso. Non ha più nemmeno quella paranoia – alle volte fastidiosamente delirante – che l’aveva accompagnato per gran parte dei due volumi precedenti. La consapevolezza dell’importanza del libero arbitrio appare fondamentale, tanto da diventare un messaggio da trasmettere con forza sempre maggiore.
Tra ingressi nascosti in water magici, matrimoni in grande stile e altri più intimi, abbandoni e riconciliazioni, i segreti più importanti vengono man mano svelati e si chiariscono trame e connessioni che hanno inizio fin dal primo volume e piccoli dettagli, che agli occhi dell’allora ignaro lettore sono sembrati irrilevanti, assumono significati molto profondi.
Pochi i personaggi nuovi, mentre quelli già conosciuti – soprattutto i più giovani come Ron, Hermione o il sorprendente Neville Paciock, ma anche qualcuno ben più adulto – maturano a vista d’occhio.
Una novità rispetto ai precedenti volumi è rappresentata dalle due citazioni ad introduzione del libro (la prima di Eschilo e la seconda tratta da “Altri frutti della solitudine” di William Penn). Altro elemento che salta con maggiore insistenza agli occhi è quello religioso. Se in tutti i volumi precedenti concetti quali la sacralità dell’anima, la potenza dell’amore e del sacrificio, famiglia e amicizia apparivano pietre miliari, adesso la religione entra in campo con maggiore importanza anche attraverso altre due citazioni (presenti nelle lapidi di persone fondamentali nella vita del giovane mago) tratte da una lettera ai Corinzi e dal Vangelo secondo Matteo.
Lati ignoti di alcuni dei personaggi meglio caratterizzati, che avevano finito per diventare quasi stereotipati, sono delle piccole sorprese seminate lungo il libro: l’affetto del cugino Dudley nei confronti di Harry, la sottile ironia e molto altro ancora dell’insegnante di pozioni Severus Piton e la sorprendente freddezza del defunto Silente, per non parlare di alcuni aspetti sorprendenti del passato dei principali personaggi che ruotano attorno al protagonista.
Memorabili alcune battute e molte scene che rimangono indelebili, una su tutte la carica in stile “Cavalcata delle Valchirie” dei banchi di scuola trasfigurati dall’energica Minerva McGranitt. Di effetto completamente opposto è la descrizione della morte dei genitori di Harry; l’omicidio, che il lettore aveva solo potuto immaginare stando ai ricordi confusi risvegliati dai Dissennatori nel ragazzo, benché venga descritto secondo il punto di vista di Voldemort mostra come entrambi in quella notte abbiano vissuto un dolore così simile, ma nello stesso tempo diametralmente opposto.
Qualcuno ha accusato la Rowling di aver impresso alla storia un’impronta sempre più tragica a partire dal quarto libro, ma la scrittrice si è difesa facendo notare come l’intera storia prenda il via con l’omicidio di due giovani (gli ultimi di una lunga serie), il tentato omicidio di un neonato e l’abbandono di quest’ultimo ad una famiglia che significherà per lui solo «abbandono e spesso crudeltà».
«Tutto quello che ti rimane è un profondo senso di vuoto ed una grandissima voglia di piangere» commenta Francesca, una lettrice appassionata. «Non era così che doveva finire, non quella che ha la pretesa di una saga per bambini. E un epilogo allegro e felice non cambia le cose, non cancella l’amarezza per ciò che è successo prima. Ci aspettavamo spiegazioni, chiarimenti e sorprese, ma abbiamo avuto solo le ultime, e al posto dei due morti che ci aveva ‘promesso’, ce ne troviamo ben nove (senza contare i cattivi). La trama è avvincente per gran parte del libro, ma ad un certo punto smette di curarsi dei dettagli, di chi fa morire e delle persone a cui principalmente è rivolta la serie; da tre quarti in poi, sembra che abbia solo fretta di finire. E la fretta, si sa, non ti aiuta mai a far bene le cose» conclude con amarezza.
Quali che siano le impressioni finali dei lettori – da quelli che hanno acquistato il primo libro nel ’98 a quelli che si sono appassionati negli ultimi anni – rimane la certezza che “I doni della morte” (com’è già successo per gli altri sei volumi) avrà un successo mondiale, dovuto sì a gadget, pubblicità e film, ma anche alla superba capacità di Mrs Rowling di creare un mondo davvero magico.