Graviano, boss ambientalista che voleva aiutare Brancaccio «Palermo non è un’altra terra dei fuochi solo grazie a me»

«Benessere». È una parola che il boss Giuseppe Graviano ha ripetuto più volte, nel corso della sua deposizione a processo ‘Ndrangheta stragista. A questo puntavano lui e il fratello Filippo. Un progetto di rinascita del loro quartiere di riferimento, Brancaccio, che avrebbe coinvolto anche l’intera città. Un progetto «non criminale», ma che aspirava a realizzare qualcosa di buono. E l’occasione sembra presentarsi proprio quando l’imprenditore di Milano Silvio Berlusconi nel ’92 avrebbe detto al cugino Salvatore Graviano che intendeva scendere in politica e che, secondo i racconti del boss a processo, avrebbe avuto bisogno di un aiuto per la campagna elettorale. Graviano riferisce che la risposta del cugino fu netta: «Bastava che portasse avanti quei progetti già approvati, della strada si parlava già, a livello di centinaia e centinaia di miliardi di lire, portava tantissima ricchezza, “fai queste cose e vedrai che la gente ti voterà tranquillamente”. Bastava portare benessere giù per avere automaticamente i voti. Se si fossero aperti ‘sti cantieri, si doveva fare richiesta anche fuori dalla Sicilia per avere manodopera».

Ma tutto naufraga, con grande rammarico del boss di Brancaccio. «I progetti erano stati già realizzati, nell’89 lo doveva fare la giunta Orlando, che si era impegnata ad iniziare a ristrutturare Brancaccio e questi monumenti e bonificare questo fiume Oreto che è inquinato, che scaricano tutti là, e poi il fiume scarica a mare questa acqua sporca. Si voleva mettere un freno a questa situazione, forse solo un depuratore è stato fatto, ad Acqua dei Corsari. C’era un progetto, che la giunta Orlando doveva fare rinascere questa zona che poi si estende a tutta la città di Palermo, perché parte da Villabate alla stazione centrale, ma non c’erano né ditte né niente». La stessa giunta che, sempre a detta di Graviano a processo, suo cugino avrebbe in qualche modo appoggiato: «Mio cugino ha fatto la brutta figura di contribuire alla campagna elettorale della giunta Orlando nell’89, io gli ho detto che non c’è da avere a che fare con questa gente».

Ma chi è che presenta materialmente questi progetti? «Non lo so, basta andare al Comune di Palermo, lì c’è tutto. L’assessore era Elio Bonfanti, giunta Orlando, le comunali che ci sono state nll’89, e da quel momento mio cugino non ha voluto più sentire parlare di politica. Solamente ha avuto la proposta nel ’92», quella cioè di dare una mano all’ex premier Berlusconi, secondo il racconto di Graviano, per raccogliere voti. «Se quel progetto andava in porto – prosegue il boss – penso che si riusciva ad avere dei benefici». Anche perché già lui personalmente aveva provveduto a risolvere alcuni intoppi. Come frenare le richieste del dottor Gioacchino Pennino, affermato professionista palermitano, medico con varie specializzazioni, militante politico dapprima nella corrente di Vito Ciancimino e poi in altre correnti democristiane e uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, divenuto collaboratore nel ’94. «Lui voleva smaltire i rifiuti sotterrandoli nei terreni. Grazie a me, lo posso dire, e in mia assenza grazie anche a mia cugino e a Giovanni Drago, non c’è la terra dei fuochi a Palermo, perché lui voleva sotterrare quelle cose lì».

«Io gli ho detto che non si doveva permettere più di pensare queste cose prima di averne parlato con me, ma non perché io ero il capo. Ma lui che ha fatto? È andato a lamentarsi da Giuseppe Greco, detto Scarpa, chiedendo “ma cu è sto ragazzino che mi tratta così?” e lui stesso dice che non sapeva nemmeno che ruolo avessi io». Poi Graviano si allontana dalla Sicilia, siamo tra l’87 e l’88, e lui si trova in Sardegna ospite nella tenuta di uno zio. «A quel punto lui propone la cosa a Giovanni Drago, che gli dice “io penso di no”, ne parla anche con mio cugino Salvo, che gli ribadisce il no. Volevano fare la terra dei fuochi – dice ancora -, non si doveva nemmeno permettere di pensare di sotterrare queste cose, cose sanitarie, lui aveva un laboratorio di analisi con più di mille utenti e in più aveva rapporti con altri laboratori, perché si conoscono tutti e anche con gli ospedali, vergognoso quello che fanno».

Ma il dottore Pennisi, però, non era proprio un “uomo di Graviano”? «Ma se nemmeno lui sa che ruolo avevo io o se lo avevo o no. Un mio uomo e lo tratto così male?», replica il boss. «Il dottor Pennino – continua – aveva proprietà pure nel fondo Bagnasco, ho appreso che loro stavano cominciando a muoversi in questi terreni per cominciare a sotterrare questi rifiuti. Ma siccome in campagna noi contadini, specie noi Graviano che abbiamo fatto tanto bene e portato benessere e la gente sa quanto ci teniamo ai terreni, siamo stati subito avvisati, a me lo ha detto mio zio Francesco. Ho mandato a chiamare il dottor Pennino con la scusa di un prelievo di sangue, che io non potevo muovermi, e l’ho trattato male per questa situazione, e lui poi mi è andato ad accusare a Giuseppe Greco».


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