Grande Passo 4, anche due forestali affiliati alla mafia «Non ti fare scappare le zone, che ce le siamo sudate»

Fra i 12 arrestati in seguito all’operazione Grande Passo 4 ci sono anche due impiegati stagionali della Forestale. Il primo è Vincenzo Coscino di Chiusa Sclafani che, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, sarebbe stato l’esecutore materiale – insieme al corleonese Bernardo Saporito – di un’estorsione ai danni di quattro agenti della Forestale. Il mandato sarebbe partito da Pietro Vaccaro, presunto uomo d’onore della famiglia di Chiusa Sclafani, soprannominato Mortadella. Una vera e propria minaccia di matrice mafiosa, secondo quanto emerso dalle indagini, malgrado i presunti estorsori abbiano creato ad hoc una finta accusa di furto per dissimulare la richiesta di denaro. «Abbiamo sborsato mille euro ciascuno per un totale di quattro mila euro per risarcire Pietro Vaccaro, consegnando l’importo a tale Coscino», racconta nelle deposizioni una delle vittime.

La scusa per intascare i soldi è accusare i quattro forestali di aver rubato un bovino di Vaccaro. È il 14 luglio 2014 quando gli inquirenti intercettano una conversazione fra Saporito e Coscino. «Si è cagato addosso», dice il primo ridendo. I due parlano della reazione di una delle vittime alla richiesta di denaro. Il 19 luglio è il giorno stabilito per la consegna: «Quello ti doveva dare le due maniglie e le due manopole ed erano quattro, te le ha date?», chiede Saporito, ricevendo risposta affermativa dal forestale. Malgrado l’uso di un linguaggio criptico, gli inquirenti si convincono che si tratti di un’estorsione mafiosa non solo per le intimidazioni intercettate e per la reale paura da parte delle vittime di subire ritorsioni, ma anche per la reazione di Vincenzo Pellitteri, ritenuto il reggente della famiglia mafiosa di Chiusa Sclafani, all’insaputa del quale i tre indagati avrebbero organizzato il piano senza richiederne preventivamente l’autorizzazione, innescandone poi l’ira.

Non sarebbe stato, invece, un semplice adepto Vito Biagio Filippello, anche lui forestale a contratto, ritenuto il principale responsabile della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano e punto di riferimento del presunto boss Pellitteri. Sarebbero significative, secondo gli inquirenti, alcune conversazioni fra i due intercettate il 17 gennaio 2015, riguardanti la messa a posto da imporre a un’impresa edile, il cui cantiere ricadeva anche nel territorio di Prizzi.

«Prima di andarsene loro si devono portare una cosa bruciata», avrebbe detto Pellitteri, disposto a ricorrere a intimidazioni violente per evitare che, finiti i lavori, la ditta se ne fosse andata senza pagare. «Noialtri dobbiamo cominciare a muoverci, si deve fare qualcosa», continua a dire, obbediente al monito dell’ex boss di Corleone Rosario Lo Bue: «Non ti fare scappare le zone, che noialtri ce le siamo sudate». «Però è prima di andarsene che si deve fare la cosa, si ci manda un testa di minchia», avrebbe risposto il forestale. E dire che sino al 2012 Filippello era lasciato pressoché ai margini della cosca palazzese, perché ritenuto inaffidabile. Era, infatti, un fedelissimo dell’ex referente Pietro Paolo Masaracchia arrestato nel 2014, che si presumeva fosse coinvolto nell’omicidio del fratello, Giuseppe Filippello, avvenuto nel 1992.


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