Gorgoni, la parola ai difensori di Maesano e Briganti «Nessuna prova dell’esistenza di un patto corruttivo»

Camicie zuppe, citazioni e oltre sette ore di udienza, interrotta da una pausa fugace per rifocillarsi, non sono bastate per mantenere l’impegno di arrivare alla sentenza entro oggi. Per conoscere l’epilogo del primo atto del processo Gorgoni, sulle pressioni di vario tipo che si sarebbero condensate attorno alla gestione dei rifiuti tra Aci Catena, Misterbianco e Trecastagni, bisognerà attendere ancora una settimana. Mancano pochi minuti alle 17.30 quando il giudice della prima sezione penale Roberto Passalacqua decide di rimandare il prosieguo delle arringhe degli avvocati, a cui seguiranno – è stato già annunciato – le repliche dei pubblici ministeri e, subito dopo, la camera di consiglio. 

L’udienza è servita a inquadrare dal lato delle difese la vicenda riguardante il presunto accordo corruttivo che, nel 2016, avrebbe visto protagonisti l’allora sindaco di Aci Catena Ascenzio Maesano, l’imprenditore della Senesi Rodolfo Briganti e l’addetto stampa della società Salvo Cutuli. Per l’accusa, l’impresa, che all’epoca era al centro di una intricata querelle con la rivale Ef Servizi Ecologici per l’aggiudicazione dell’appalto settennale, avrebbe proposto al primo cittadino di essere disposta a sostenere la campagna elettorale di Maesano in vista delle Regionali 2017. Una corsa a cui il politico poi non avrebbe preso parte perché arrestato per avere preso tangenti da un imprenditore del settore informatico. Una vicenda per cui Maesano è stato condannato in via definitiva. «Maesano è marchiato da quella storia, ma in in questa vicenda non esiste alcuna prova nei suoi confronti», ha detto l’avvocato Enzo Mellia, difensore insieme a Giuseppe Marletta dell’ex sindaco. 

Mellia ha incentrato la propria arringa su un assunto preciso: Maesano non si sarebbe mai mostrato disponibile a favorire gli interessi di Briganti e della Senesi, in particolar modo per quanto concerne la richiesta di togliere le penali che il Comune aveva comminato all’azienda per inadempienze nell’esecuzione del servizio. «Maesano non conosce i termini della questione, si mostra svogliato, non prende posizione», ha sottolineato il legale, facendo riferimento a una delle due intercettazioni su cui poggia l’accusa della procura etnea. È il 19 luglio 2016, quando Maesano e Briganti discutono in auto. Tra gli argomenti affrontati c’è quello delle penali: oltre 50mila euro di sanzioni fatte dagli uffici all’azienda. L’imprenditore, rivolgendosi al sindaco, dice: «Se riesci a farmi recuperare… quello che riesci». Al che Maesano replica: «E come te li restituisco?» Una domanda che, secondo Mellia e Marletta, rivelerebbe la totale estraneità del primo cittadino, anche perché in quella sede Briganti non fa alcun riferimento a una possibile contropartita. «La polizia giudiziaria le ha ascoltate quelle intercettazione e sa benissimo che non contengono elementi di prova a carico di Maesano», ha rilanciato Mellia, chiedendo l’assoluzione del proprio assistito. 

La stessa richiesta in precedenza era stata fatta dai legali di Briganti e Cutuli, gli avvocati Giovanni Domeniconi e Carmelo Peluso, per l’imprenditore, e Dario Fina, per il giornalista. «Questo processo ha messo in crisi una società che aveva trenta milioni di fatturato e che ora ha dovuto chiedere il concordato preventivo», che ha definito superficiale la requisitoria dell’accusa, rappresentata dalle magistrate Tiziana Laudani e Antonella Barrera. Anche in questo caso la difesa ha fatto leva sul fatto che non esistono intercettazioni da cui si evincano elementi che dimostrino una volontà dell’imprenditore di corrompere l’amministrazione comunale catenota. «Ha chiesto di ritirare le penali, perché già altrove l’azienda era gravata da queste misure e in alcuni casi gli era stata già riconosciuta ragione», ha continuato Domeniconi. L’avvocato ha sottolineato la fragilità della tesi secondo cui il ritiro delle penali in cambio di una tangente di uguale importo sarebbe stata una soluzione accettabile per Briganti: citando una consulenza di parte, Domeniconi ha sostenuto che l’esistenza delle penali non avrebbero intaccato la possibilità per la Senesi di partecipare a future gare d’appalto. Per la difesa di Briganti, poi, non avrebbe senso ragionare sulle assunzioni di personale fatto su indicazioni di Maesano, ma anche dell’allora vicesindaco Giovanni Grasso (non imputato) e di altri consiglieri. «L’azienda non è un soggetto economico di diritto pubblico, non è tenuta a fare concorsi e le assunzioni fatte su segnalazione non implicano alcun reato», ha affermato il legale. Che poi ha assicurato che qualsiasi iniziativa dell’addetto stampa sarebbe stata portata avanti all’oscuro dell’imprenditore. 

Il riferimento è ai contenuti di una conversazione tra Maesano e Cutuli, nel corso della quale quest’ultimo, perorando la causa di Briganti, avrebbe tentato di convincere il primo a impegnarsi a risolvere la grana della Senesi. «Ora cerchiamo di sistemargliela», avrebbe risposto Maesano. Mentre poco dopo Cutuli avrebbe aggiunto: «Lui (Briganti, ndr) mi ha detto: “Quello che mi leva di là, io gli faccio». Tale promessa, tuttavia, sarebbe stata aleatoria. «Il Comune continua a fare le penali anche a luglio e settembre, anche dopo un mese da quell’incontro. Come è possibile che ci sia stata la corruzione?», ha chiesto Fina rivolgendosi al collegio giudicante. Per il legale, dietro l’azione di Cutuli, tutt’al più ci sarebbe stato il tentativo di accreditarsi nei confronti del sindaco, anche nell’ottica di un’eventuale collaborazione con Maesano all’Ars in caso di un’elezione. Il giornalista, inoltre, avrebbe tentato di sostenere la posizione della Senesi, auspicando che nell’eventualità l’azienda di Briganti avesse vinto la disputa per la gara settennale il proprio contratto da addetto stampa sarebbe stato prorogato.


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