Il penultimo atto del processo di primo grado, nato dal blitz del 2017 effettuato dalla Direzione investigativa antimafia. Sotto la lente ci sono le pressioni attorno agli appalti sui rifiuti che dovevano essere assegnati ad Aci Catena, Trecastagni e Misterbianco
Gorgoni, in aula parlano i difensori di Pappalardo «Mancano le prove sull’appartenenza ai Laudani»
Bisognerà attendere ancora ventiquattro ore per conoscere il verdetto del processo di primo grado Gorgoni. Il pronunciamento in un primo tempo si credeva potesse arrivare già oggi, dopo che a prendere parola sarebbero stati gli ultimi avvocati difensori degli imputati coinvolti nell’inchiesta sulle interferenze che, nel 2016, si registrarono nel mondo dei rifiuti. Una storia che riguarda i centri di Aci Catena, Trecastagni e Misterbianco, ma anche la mafia catanese. La sentenza però non è arrivata e l’udienza di oggi ha lasciato spazio ai difensori di Lucio Pappalardo, l’imprenditore di Aci Catena arrestato a novembre 2017 nel blitz della Direzione investigativa antimafia con l’accusa di essere il referente dei Laudani. In tale veste, avrebbe fatto da intermediario tra la Ef Servizi Ecologici – dietro cui ci sarebbe stato il clan Cappello guidato da Massimiliano Salvo – e il Comune di Aci Catena.
All’epoca dell’indagine, la città del limone verdello attendeva di conoscere il nome dell’impresa che avrebbe preso in mano il servizio di raccolta della spazzatura per sette anni. La gara d’appalto fu gestita dall’Urega, ma subito dopo la sua conclusione gli equilibri furono scossi dalla notizia delle interdittive antimafia, arrivate una a distanza di poche settimane dall’altra, a carico della Ef Servizi Ecologici e della Senesi, le uniche due ditte partecipanti. Ne nacque una disputa giudiziaria all’interno dei tribunali amministrativi. Fuori, invece, entrambe le imprese chiedevano di ricevere l’affidamento temporaneo del servizio. In questa cornice si inseriscono le pressioni che l’imprenditore Vincenzo Guglielmino – deceduto le prime fasi del processo – avrebbe fatto sulla giunta guidata al tempo da Ascenzio Maesano per strappare alla Senesi il servizio. Quest’ultima, invece, avrebbe ottenuto dal primo cittadino la disponibilità a ricevere trattamenti di favore, come la cancellazione di penali, in cambio della promessa di finanziare la campagna elettorale di Maesano in vista delle Regionali 2017. Elezioni a cui il politico catenoto – per il quale la procura chiede sei anni – non parteciperà perché arrestato un anno prima in un’altra storia di tangenti.
Se per l’accusa, rappresentata dalle pm Tiziana Laudani e Antonella Barrera, non ci sono dubbi sul fatto che Pappalardo sia il punto di riferimento del mussi di ficudinia ad Aci Catena, al punto da chiederne la condanna a 16 anni, i suoi difensori sono convinti del contrario. Il primo a parlare è stato l’avvocato Giuseppe Rapisarda. «Qui abbiamo la storia di un uomo che ha deciso di emanciparsi dalla storia familiare, che si è rimboccato le maniche e insieme alla moglie ha lanciato un’attività imprenditoriale importante, che produce brioche», ha sostenuto il legale, facendo riferimento all’appartenenza dei familiari di Pappalardo alla cosca. Il difensore ha ribadito l’assunto secondo cui le intercettazioni in mano agli inquirenti sono assolutamente neutre, appellandosi al «buon senso» nella lettura delle carte processuali. Rapisarda si è poi soffermato su un punto: le parole pronunciate dai collaboratori di giustizia Giuseppe Laudani e Mario Vinciguerra. Entrambi non sono ritenuti credibili dai difensori di Pappalardo. «Possibile che la procura si accorga della sua esistenza soltanto nel 2017? – ha chiesto l’avvocato -. Ci sono stati tanti procedimenti sui Laudani: cinque processi Ficodindia, Vicerè, eppure Pappalardo non è mai stato coinvolto».
Il legale, riprendendo la versione data dallo stesso imputato durante il processo, in merito ai motivi che hanno portato il boss dei Cappello Massimiliano Salvo a pensare a lui per cercare un’intercessione nei confronti del sindaco. «Salvo era stato in carcere con un familiare di Pappalardo e per questo ha pensato a lui – ha sottolineato Rapisarda -. E Pappalardo stesso ha detto di essersi interessato, ma dopo avere capito di cosa si trattasse, ha fatto un passo indietro». Sul punto si è concentrato anche l’intervento dell’avvocata Isabella Giuffrida. «Il signor Pappalardo, quando è stato cercato, ha chiesto di avere le carte della procedura di gara. Questo è un metodo mafioso?», ha chiesto la legale, specificando poi che durante l’intera indagine Pappalardo non è mai stato avvistato nei luoghi in cui si sarebbero tenuti gli incontri tra la Ef Servizi Ecologici e i Cappello. «Non esiste un’immagine che lo ritrae nell’autorimessa di viale Mario Rapisardi», ha ricordato Giuffrida, secondo la quale inoltre non è detto che il riferimento a «Lucio» in buona parte delle intercettazioni sia riconducibile all’imprenditore delle brioche. Per questi motivi gli avvocati hanno chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste.