«A Palermo e in provincia, l'artigianato è in forte crisi». Lo sostiene Nunzio Reina, presidente di Confartigianato che punta il dito contro Stato e istituzioni: «Negli ultimi anni abbiamo perso 25mila imprese». «Non ci sono agevolazioni e molti preferiscono lavorare in nero», raccontano i bottegai
Gli artigiani calzolai tra difficoltà e speranze «Senza aiuti, andiamo avanti per passione»
In tempi di crisi, l’artigianato è l’unica soluzione alla crescita. Per questo è importante recuperare i mestieri della tradizione. Ne è convinto Nunzio Reina, presidente di Confartigianato Palermo, per cui però «mancano politiche mirate a contrastare la perdita di aziende artigiane nel capoluogo siciliano». Un settore in peggioramento a causa di uno scarso ricambio generazionale e di percorsi di formazione. «Al momento ci scontriamo con un paradosso – spiega – da una parte ci sono artigiani che vogliono regolarizzarsi ma non possono farlo per mancanza di qualifica e dall’altra, invece, professionisti qualificati che, oppressi delle tasse, chiudono l’azienda per lavorare in nero». Lo sanno bene i calzolai palermitani che si raccontano a Meridionews.
«Ho imparato questo mestiere da mio padre che a sua volta l’ha ereditato da mio nonno – racconta Piero Caccamo, calzolaio di lunga tradizione -. Mi sono specializzato a Venezia, perché in Sicilia non esistevano corsi di formazione e perfezionamento. Nel 1991 ho aperto il mio negozio nel centro della mia città, ma erano altri tempi. Oggi fare il calzolaio a Palermo è diventato molto difficile perché non ci sono agevolazioni o sgravi fiscali per chi paga le tasse. Per questo molti preferiscono lavorare in nero. Le giovani generazioni, scoraggiate, partono in cerca di fortuna». E a guardare fuori dall’Isola sono anche i meno giovani.
«Mi domando – si chiede un altro ciabattino, Alfredo Giustino – perché sono ritornato a Palermo. Ho lavorato per 17 anni al Nord in un’azienda di calzature dove mi sono qualificato. Guadagnavo bene. Ma ero sicuro che avrei portato benefici alla mia terra e così ho deciso di ritornare. Nove anni fa – prosegue – ho aperto questa attività, ho assunto un aiutante e sono partito pieno di speranza. Nel corso degli anni ho constatato con amarezza che il lavoro andava a diminuire. Sono stato costretto a licenziare il personale che avevo assunto e ora lavoro solo per coprire i costi dei materiali e le tasse che, ormai, solo in pochi pagano». E così anche Giustino chiama in causa le istituzioni, che costringerebbero «molti artigiani a vivere nell’illegalità». «La crisi, per quanto mi riguarda, non ha portato nuovi clienti continua – Chi è povero acquista le scarpe a pochi euro presso i mercatini dell’usato. Solo qualche benestante continua a portare scarpe o accessori da aggiustare. Senza aiuti, andiamo avanti per passione ma non sappiamo ancora per quanto. Spero solo che le cose cambino».
A pensarla diversamente è il fabbricante di calzature Massimo Borgia che parla di guadagno. «Da quando ho aperto la mia attività, dieci anni fa, ho sempre lavorato senza aiuti da parte dello Stato. Ho imparato il mestiere lavorando presso una fabbrica palermitana di scarpe e poi ho deciso di mettermi in proprio. Ho faticato tanto e, oggi, nel nostro laboratorio, non ci occupiamo solo di scarpe ma realizziamo borse e cinture. Negli ultimi anni abbiamo iniziato anche a confezionare bisacce per moto, caschi in cuoio e cuscini per imbarcazioni. Di questi tempi non ci si può limitare alle riparazioni, ma bisogna adattarsi al mercato che cambia e alla clientela sempre più esigente». Due facce della stessa medaglia, per le quali è necessario trovare una sintesi. La stessa che passa tra tradizione e modernità. «Ritengo che l’unica alternativa sia formare gli artigiani, sopratutto giovani, all’interno di una bottega – conclude il presidente di Confartigianto – e quindi investire proprio nelle imprese che creano le professioni del futuro».