Giovanni Paolo II e il Concilio

Il pontificato di Giovanni Paolo II si è chiuso alle 21.37 del 2 Aprile 2005. Dopo questi giorni di lutto, che hanno visto milioni di fedeli da tutto il mondo, accorrere a Roma per omaggiare la salma del pontefice, è arrivato il momento di tracciare un bilancio del regno del papa polacco.

Un pontificato storico per la sua durata e la sua incredibile instancabilità. Caratterizzato da importanti aspetti: costante impegno pacificatore, difesa dei diritti dell’uomo, dialogo interreligioso, impegno ecumenico, legittimazione dei movimenti religiosi (circa quaranta), lotta contro i totalitarismi. Un pontificato spiccatamente cristologico, che ha allontanato la modernità, che ha criticato il capitalismo e alcuni aspetti importanti della ricerca scientifica che, per la lunga durata, inequivocabilmente ha attirato a sé, riflessioni, spesso critiche e prese di distanza. Feroci attacchi, recentemente sono stati lanciati dal teologo Hans Kung, che accusa Giovanni Paolo II di aver cancellato le decisioni del Concilio Vaticano, discostandosi da quanto auspicato dai suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI. Ma, davvero il magistero di Giovanni Paolo II è stato così distante da quanto stabilito dal Concilio Vaticano II e dallo spirito riformista dei pontefici che lo hanno preceduto?
Le principali questioni sollevate riguardano le prese di posizioni di Karol Wojtyla riguardo il governo della Chiesa e problemi etici.

Nell’ampio contesto del governo della Chiesa le accuse hanno riguardato l’eccessivo accentramento dei poteri alla curia vaticana, accusata di non aver tenuto conto delle esigenze delle comunità locali, in opposizione alla collegialità auspicata dal Concilio.
Il documento conciliare che tratta tali questioni, il “Lumen Gentium”, indica inequivocabilmente: “Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica. […] governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui”. Il capitolo 20 indica nella gerarchia ecclesiastica i vescovi come successori degli apostoli e il capitolo 22 pone nel collegio dei vescovi uno strumento di confronto senza autorità, confermando al Papa, capo della Chiesa, al quale è ribadito il dogma dell’infallibilità, il primato e la potestà di qualsiasi decisione.

Per quanto concerne le questioni etiche, negli ultimi decenni soprattutto in Europa e in America Settentrionale, si è assistito ad un progressivo scollamento tra le posizioni della Chiesa Cattolica e quelle della società civile. I problemi dibattuti riguardano gli omosessuali riconosciuti nella loro dignità di una relazione amorosa che porti alla legittimazione del loro stato di famiglia, temi sulla contraccezione, interruzione della gravidanza, eutanasia, divorzio. Temi che Giovanni Paolo II non ha voluto affrontare o, per meglio dire, su cui ha posto un muro invalicabile, non discostandosi, però da quanto stabilito dal concilio. Perché le conclusioni conciliari, sancite da un vasto apparato documentale da cui estraiamo “Gaudium et Spes”, stabiliscono chiaramente: “tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario […] sono certamente vergognose”. Così come vengono dedicati i capitoli dal 47 al 52 all’inviolabilità del matrimonio tra uomo e donna nella legittimazione della famiglia nella sua sacralità.

L’auspicio che ha spinto Giovanni XXIII a dar vita al Concilio Vaticano II, era “venir incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina (della Chiesa Cattolica n.d.r.) […], attraverso una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta dell’autentica dottrina, studiata attraverso l’indagine del pensiero moderno”.
Il problema è stabilire se, l’auspicio di papa Roncalli abbia generato effettivamente risultati. Certamente il Concilio Vaticano II ha dovuto mediare le varie anime, tradizionaliste e progressiste, della Chiesa Cattolica. E, indubbiamente, Karol Wojtyla, come padre conciliare, si riconosceva in coloro i quali possedevano una base dottrinale e teologica tradizionalista che ha continuato a difendere da papa. Giovanni Paolo II non ha derogato quanto stabilito dal Concilio, ne ha rispettato i codici; ma “per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose” è tornato in un certo qual senso a quell’approccio, quasi dogmatico, caratterizzante Pio XII.
Il Concilio Vaticano II ha dato una certa risposta alle esigenze di apertura della Chiesa alla comunità, fissando delle regole. Ma è stato uno strumento “legiferativo” straordinario che, tuttavia, demandava potestà infallibile al papa per quanto riguarda la gestione ordinaria. Occorre, a questo punto, domandarsi di fronte al continuo cambiamento della società, quali siano, attualmente, le esigenze della Chiesa: un Concilio Vaticano III, un organo permanente di aggiornamento o un pedissequo attenersi a quanto sancito dal Concilio Vaticano II?


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