Tra il 1968 e il 2024 ci sono 56 anni. Un lasso di tempo come questo può essere molto lungo o molto breve, dipende dalla prospettiva dalla quale lo si guarda e dipende da cosa succede negli anni che ci stanno in mezzo. Alla città di Gibellina, in provincia di Trapani, tra il 1968 e il 2024 sono successe una marea di cose. Il 31 ottobre 2024 il ministero della Cultura ha annunciato che Gibellina è la Capitale italiana dell’arte contemporanea per l’anno 2026. Il riconoscimento è stato istituito di recente, quindi la cittadina del Trapanese è la prima a poter vantare questo titolo. Ma per capire come si è arrivato a questo riconoscimento si deve tornare indietro di qualche decennio. La notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un terremoto di magnitudo 6,5 colpì la Valle del Belìce, una vasta area della Sicilia occidentale tra le province di Trapani, Palermo e Agrigento. In realtà la scossa non fu soltanto una, ma ce ne furono una ventina nel giro di due giorni e poi diverse altre decine nelle settimane e nei mesi successivi, sebbene di entità minore. Secondo il Dipartimento della protezione civile, quello che conosciamo come il terremoto del Belìce provocò 296 vittime e mille persone ferite; quasi centomila restarono senza casa. Secondo altre fonti, le persone morte furono anche di più. Può suonare retorico, ma i danni non furono solo quelli tangibili – le morti, le persone ferite, le case per la maggior parte distrutte tra Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, le ripercussioni sull’economia della zona, che era prettamente agricola – i danni furono anche, se non soprattutto, quelli al tessuto sociale e alla sfera emotiva di quelle comunità, alla storia di quei paesi, le cui persone nel giro di poche settimane si dovettero trasferire in centinaia di tende e poi nelle baracche. E lì abitarono per più di dieci anni.
«La mia adolescenza l’ho vissuta tutta nelle baracche», dice a MeridioNews Salvatore Sutera, sindaco di Gibellina, all’indomani dell’importante riconoscimento ottenuto dalla città. Perché tra il 1968 e il 2024 a Gibellina sono successe davvero molte cose, e delle più diverse. Intanto quella Gibellina non c’è più; al suo posto c’è un’opera di land art conosciuta in tutto il mondo: il Cretto di Burri, fatto delle macerie – compattate e armate con il cemento – della case distrutte dal terremoto. All’opera monumentale dell’artista Alberto Burri – che ripercorre tutte le vie della città che è stata distrutta nel 1968 – è stato riconosciuto un forte valore simbolico. Gibellina nuova è a 17 chilometri da dove sorgeva la vecchia città: meno di mezz’ora in macchina, quasi tre ore a piedi e meno di un’ora in bici. Dopo i circa dieci anni passati tra tende e baracche, «alcuni gibellinesi si trasferirono nelle case popolari della nuova Gibellina alla fine degli anni Settanta – dice Sutera al nostro giornale – ma la maggior parte delle persone si trasferì nella nuova città tra il 1980 e il 1981». La questione, però, non è solo quella relativa ai tempi necessari per tornare a una sorta di normalità, ma riguarda la memoria collettiva, la storia (cancellata) di una comunità, la sua identità e un sopravvenuto spaesamento.
Questo spaesamento è stato generato dal fatto che «l’assetto urbanistico di Gibellina nuova è stato calato dall’alto dall’Istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale (Ises, ndr) – dice il sindaco Sutera – e nulla aveva a che fare con quello di prima». Il nuovo impianto della città prevedeva spazi grandissimi, strade ampie e nessun riferimento al vecchio paese, con le persone che «sono state sradicate da un posto e trapiantate in un altro», dice Sutera. Ma «l’arte e l’architettura – sottolinea il sindaco – sono servite a fare da connettivo tra quegli spazi così grandi. E questo si deve a Ludovico Corrao». Sindaco di Gibellina dal 1969 al 1972 e poi dal 1974 al 1994, Corrao guidò la comunità gibellinese in una ricostruzione che non è stata – e non poteva essere – solo materiale. «Corrao è stata una persona visionaria – dice Sutera – che ha portato Gibellina nel futuro». L’allora primo cittadino chiamò in Sicilia i più importanti artisti e architetti di fama mondiale, che nella nuova città progettarono e costruirono una serie di opere d’arte presenti ancora oggi. Alla fine degli anni Sessanta, quando ci fu il terremoto del Belìce, «Gibellina era un paese dell’entroterra siciliano con tutta una serie di problemi: su tutti scarsa scolarità ed economia povera, quindi dal terremoto è stata quasi proiettata nell’età contemporanea», dice Sutera, facendo intendere che – sebbene per un evento traumatico e nefasto – la comunità di Gibellina si è trovata davanti alla possibilità di un grande cambiamento, che forse non ci sarebbe stato – o sarebbe stato molto più lento – senza il sisma del Belìce. «Ma questo è stato possibile grazie a una persona visionaria, con un sogno (Corrao, ndr), che l’ha portata nel futuro».
Secondo Sutera, grazie alla visione di Corrao, Gibellina ha fatto quello che «di solito si definisce doppio salto mortale, che per noi è stato un doppio salto vitale», che «chiaramente ha avuto anche delle problematiche e delle resistenze iniziali». Nei primi tempi di questa seconda vita ci sono state «alcune difficoltà di comprensione» rispetto a quello che stava succedendo, «ma questo fa parte della storia, il tempo ha cercato di sanare queste problematiche. Oggi – continua Sutera – la città ha una sua fisionomia più definita. Ha ancora delle questioni aperte, da sistemare, e che nascono probabilmente dal rapporto dei cittadini con la città». L’attuale sindaco di Gibellina dice che «una città pensata non è la stessa cosa di una città vissuta». Il nuovo abitato, infatti, «è stato pensato più come un quartiere di una grande città del nord Europa che non come una città delle nostre parti». Ma «questo rapporto tra l’architettura e la città e i suoi abitanti sta ridisegnando in qualche modo quel tipo di architettura. Questa identità che ci ha donato l’arte – sottolinea Sutera – è stata davvero la salvezza, altrimenti saremmo stati una città che si sarebbe persa due volte». Invece «questa identità ritrovata è la grande idea di Ludovico Currao, che un tempo è stata definita un’utopia, ma che sempre di più, nel tempo, è diventata reale e oggi il riconoscimento di Capitale italiana dell’arte contemporanea rappresenta un timbro che attesta che quell’idea era assolutamente forte e che è pienamente realizzata: non un’utopia – ripete Sutera – ma una realtà importante non solo per la Sicilia, ma per tutta l’Italia». Secondo il sindaco, «una città distrutta, che riesce poi a ricrearsi – e a ricrearsi con un’identità bella, collegata alle arti – credo dia un messaggio davvero di speranza a tutto il mondo».
Alla proclamazione di Gibellina Capitale italiana dell’arte contemporanea per il 2026 «c’è stata un’emozione grande, vista e percepita – dice Sutera – Sia per chi, come me, l’ha vissuta al Ministero, sia per chi era a Gibellina». E in effetti hanno fatto il giro dei social le immagini dell’esultanza che c’è stata nella sala consiliare cittadina al momento della proclamazione. «Siamo felici, onorati ed entusiasti per il riconoscimento alla città e al nostro progetto, Portami il Futuro, che è stato scelto dalla commissione all’unanimità». Sutera parla anche di «grande responsabilità che sappiamo di avere di fronte a tutta l’Italia, quindi dovremo dare prova che siamo in grado di realizzarlo questo progetto». L’augurio del sindaco è che «questa cosa serva davvero a muovere tutte le energie possibili». Ora alla città di Gibellina sarà assegnato un finanziamento da un milione di euro, «un budget che servirà ad allestire le manifestazioni per far sì che nel 2026 la città sia pronta a essere Capitale. Ma probabilmente quel milione non sarà sufficiente – aggiunge Sutera – Abbiamo il sostegno della Regione siciliana, ma anche di privati e lavoreremo in questo senso per aumentarlo questo budget, così da poter offrire un anno importante a chi verrà a Gibellina». Iniziative che, stando alle parole del sindaco, non riguarderanno solo il Comune, «ma c’è l’intenzione di coinvolgere anche il territorio intorno: tutti i Comuni della Valle del Belìce hanno aderito al progetto. All’audizione – dice Sutera al nostro giornale – con noi erano presenti 14 tra colleghi sindaci e delegati. È stata una candidatura di tutto il territorio, dimostrazione che quando si fa rete e si collabora le cose sicuramente funzionano meglio».
In questa rete rientrano «i Comuni, la Rete museale belicina, il Gal della Valle del Belìce, il distretto turistico, le associazioni e le pro loco, così da coinvolgere tutto il territorio», dice il sindaco. «A questo si è associata la collaborazione con istituzioni, musei e fondazioni di diverse parti d’Italia». Al progetto Portami il Futuro «hanno collaborato anche Roberto Albergone e la Fondazione Meno. Albergone – sottolinea Sutera – è colui il quale ha fatto anche il progetto per Agrigento e per Palermo Capitale italiana della cultura: ha lavorato con grande professionalità e con grande passione, e ha saputo valorizzare questo grande patrimonio che abbiamo». Sutera dice che «quando si è saputo del bando per diventare Capitale italiana dell’arte contemporanea ho detto che avremmo partecipato: era un obbligo nei confronti di Ludovico Corrao – che ha voluto legare l’identità della nuova Gibellina all’architettura, alla pittura, alla scultura, al teatro – e dei tanti artisti che sono passati da qui, tra i più grandi del Novecento». Oltre alle opere monumentali in città, a Gibellina c’è «il Museo di arte contemporanea, uno dei più importati d’Italia – dice il sindaco – di sicuro il più importante del Sud. Poi il Museo Trame del Mediterraneo, la Fondazione Orestiadi – creata da Corrao – il Museo Belìce Epicentro, che parla del terremoto e delle lotte del sociologo Danilo Dolci. Quindi avevamo tutte le carte in regola per partecipare».
Diventare la prima Capitale italiana dell’arte contemporanea «è sicuramente un’emozione grande, ma è una grande responsabilità», dice Sutera. La candidatura di Gibellina «ha avuto l’appoggio importante della Regione – dice Sutera – del presidente Schifani, dell’assessore ai Beni culturali – Scarpinato – e del presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gaetano Galvagno, che era lì con noi all’audizione. Una presenza non solo istituzionale, ma davvero appassionata, che ha fugato i dubbi sull’appoggio della Regione alla nostra candidatura. Credo – continua il sindaco – che nessun’altra città in Italia e nel mondo possa essere accomunata all’arte contemporanea come Gibellina; e questo grazie al grande lavoro di Ludovico Corrao. L’ho detto anche nel mio discorso al Ministero – conclude Salvatore Sutera – Gibellina è arte contemporanea, perché senza arte contemporanea non possiamo parlare di Gibellina».
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