«Ci doveva scappare il morto, forse ora decideranno se tornare a un vero ospedale o se chiuderlo definitivamente, perché in queste condizioni è pericoloso continuare». Tra chi lavora in quello che resta dell’ospedale di Giarre c’è rabbia, preoccupazione e dolore. Due notti fa una donna di 68 anni, ricoverata nel reparto di geriatria, è morta. Secondo le prime ricostruzioni per arresto cardiocircolatorio. Si sarebbe sentita male intorno a mezzanotte, ha chiamato i figli che sono accorsi nella struttura, ma circa un’ora dopo, all’una e un quarto, ha smesso di respirare. Da qui la reazione del figlio che ha aggredito un infermiere e il medico reperibile, contro cui ha scagliato un oggetto contundente in fronte. I due hanno fatto ricorso alle cure del pronto soccorso di Acireale e si sono riservati di presentare denuncia, che però non è stata ancora fatta. Una denuncia è stata invece consegnata ai carabinieri di Giarre dai parenti della donna deceduta che accusano i sanitari di non aver fatto tutto il necessario per salvarla.
I militari dell’Arma hanno sequestrato la cartella clinica, la Procura di Catania ha aperto un’inchiesta e la salma resta a disposizione dell’autorità giudiziaria. Tra i documenti al vaglio degli investigatori c’è anche una lettera inviata il 28 aprile dal direttore del reparto di Medicina, Giovanni Rapisarda, alla direzione sanitaria dell’ospedale. Missiva che arriva pochi giorni dopo la chiusura del pronto soccorso, in cui si scrive che l’ospedale non è in grado di gestire i malati acuti, cioè quelli gravi, per mancanza di disponibilità strutturale e di personale. Il presidio di Giarre resta in attesa di una rimodulazione, annunciata ma non ancora messa in atto, ed è stato gradualmente privato di attrezzature e medici. Una parte del personale negli ultimi mesi è stata trasferita ad Acireale che deve ora garantire servizi per un bacino di utenza molto più ampio.
Tornando alla morte della donna, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, la 68enne originaria di Giarre dal 20 aprile era ricoverata nel reparto di geriatria per insufficienza respiratoria e scompenso cardiaco. Nella notte tra sabato 2 e domenica 3 maggio avrebbe accusato malori e respiro affannato e ha avvisato il figlio e la figlia. Il personale infermieristico, dopo vari solleciti, avrebbe contattato il medico reperibile che si trovava nella sua abitazione a Gravina di Catania, località che dista 27 chilometri da Giarre. Allo stesso modo, dopo alcune rimostranze, sarebbe stato avvisato anche il medico di guardia. Secondo i militari, i due sarebbero giunti, quasi in contemporanea, all’una e dieci, pochi minuti prima del decesso e avrebbero tentato di rianimare la donna. «Escludiamo che prima ci siano stati altri tentativi di rianimazione», affermano i carabinieri. Dopo la morte dell’anziana, il figlio avrebbe reagito violentemente, colpendo il medico reperibile e aggredendo un infermiere.
Sulla vicenda interviene anche Calogero Coniglio, segretario regionale del sindacato infermieri Fsi-Cni Sicilia: «Non è accettabile che un reperibile medico di reparto debba arrivare da Catania con tutti i ritardi connessi e collegati alle varie emergenze di reparto. Si tratta di mancanze di un sistema, quello sanitario dell’Asp 3 che non ha rispettato la legge 502/92 riguardo le proprie scelte collegate alla partecipazione del territorio sulla chiusura del locare pronto soccorso. Queste, purtroppo, sono le gravi conseguenze che non possono ricadere sul personale sanitario che subisce ogni giorno aggressioni gratuite per problemi di malasanità non certo sempre a loro imputabili».
«Viviamo un incubo – racconta un dipendente – non è la prima volta che si verificano minacce o aggressioni. Ma da quando è stato chiuso il pronto soccorso la situazione è precipitata». Oltre alla mancanza di personale, è stato chiuso anche il laboratorio per esaminare i prelievi. Delle semplici analisi, indispensabili per poter procedere con urgenza su un paziente, vengono quindi inviate al presidio di Acireale o, solo in determinati giorni e orari, ci sarebbe una figura reperibile che, se chiamata, si reca all’ospedale di Giarre ed effettua gli esami nel laboratorio che altrimenti resta chiuso. «Se poi le persone muoiono, la colpa è sempre di chi, suo malgrado, era presente, così non si può più andare avanti», conclude il lavoratore.
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