Sono più di duemila le pagine del decreto di confisca all'ex deputato Dc. Secondo i giudici sarebbe stato contiguo a Cosa nostra e capace di condizionare l'attività del Comune di origine, pur non essendo candidabile. Le ingerenze si sarebbero manifestate soprattutto con l'amministrazione guidata dal noto critico d'arte
Giammarinaro, tra lacrime e potere a Salemi «Sgarbi andò a consolarlo: Ti vogliamo bene»
«Sgarbi andò lì a consolarlo. “Perché piangi, ti vogliamo bene”». Nelle oltre duemila pagine del decreto di confisca dei beni per l’ex deputato della Democrazia cristiana, Pino Giammarinaro, ritenuto contiguo a Cosa nostra e per questo socialmente pericoloso, c’è spazio anche per le lacrime. A raccontarlo ai giudici in più di un’occasione è Oliviero Toscani, noto fotografo e soprattutto per un anno e mezzo assessore alla Creatività nel Comune di Salemi, nel periodo in cui a guidare l’amministrazione del centro trapanese era Vittorio Sgarbi.
Il critico d’arte sarebbe stato consapevole di avere in Giammarinaro qualcosa più di un interlocutore. E questo nonostante, in quegli anni, il democristiano fosse incandidabile e dunque senza «alcun titolo per partecipare alle scelte istituzionali». Tuttavia il politico salemitano, secondo i giudici, sarebbe riuscito a ritagliarsi il ruolo di «prosindaco», con la capacità di condizionare giunta e consiglio comunale, dove a sedere non erano solo i fedelissimi dello scudo crociato ma anche suoi ex dipendenti e persone che avevano lavorato per le società riconducibili a Giammarinaro.
Tra i più coscienti delle ingerenze subite dall’amministrazione c’è proprio Toscani, che prima di dimettersi a inizio 2010 aveva avuto modo di ribattezzare l’ex deputato con il nome di «Giamburattinaio». Ai giudici il fotografo racconta di come l’ex deputato fosse assiduo frequentatore delle sedute di giunta. «C’era sempre… al ristorante, in giunta, quando si parlava per strada, in piazza… vedevo che condizionava tutti i rapporti. Cioè comandava Giammarinaro», dichiara Toscani. Che poi racconta della volta in cui il politico sarebbe finito addirittura per piangere. «Chiesi provocatoriamente a Giammarinaro: “Scusa, ma tu cosa c’entri? Io non prendo ordini da te. Non riconosco in te alcuna autorità”. Improvvisamente scoppiò a piangere, creando un imbarazzo generale. Ricordo – continua l’ex assessore – che Sgarbi si alzò e lo andò a consolare».
L’onnipresenza del politico sarebbe stata riconosciuta dallo stesso sindaco che quando atterrava in Sicilia veniva spesso accolto dallo stesso Giammarinaro che lo andava a prendere in aeroporto. Dell’ex deputato, Sgarbi ha detto: «Devo riconoscenza a Giammarinaro e ho sempre ritenuto che fosse il referente unico della mia attività perché gli altri non erano politicamente capaci». A spingere affinché il critico nel 2008 si candidasse a sindaco era stato d’altronde lo stesso democristiano. Dal canto suo, per affondare le proprie ramificazioni a Salemi, Giammarinaro avrebbe sfruttato non solo una lunga schiera di prestanome politici ma anche la sostanziale assenza di Sgarbi nell’Isola. «L’attività di condizionamento è tanto più incisiva alla luce delle rare presenze nel territorio del sindaco», si legge nel decreto.
Le intromissioni si sarebbero registrate a tutti i livelli. Un esempio è rappresentato dalla sostituzione di Toscani, il cui posto in giunta va al giornalista Alessandro Cecchi Paone. Giammarinaro e Sgarbi ne parlano a novembre 2009. «Questa cosa di Cecchi Paone, vera è?», chiede il primo. «Ha accettato», replica il primo cittadino, ricevendo il benestare di Giammarinaro, che dal canto suo pone un diritto di prelazione sul futuro. «Gli ultimi due anni poi facciamo i giri che dobbiamo fare, per adesso divertiamoci», aggiunge il democristiano. Proposito che l’indomani si fa più dettagliato: «Con due assessori facciamo le cose che possiamo fare e le facciamo bene, te l’assicuro – dice Giammarinaro, poco dopo avere lamentato la riduzione del numero di assessori di riferimento in giunta – La Bivona (Caterina Bivona, assessora alla Famiglia fino a gennaio 2011, ndr) ci consente la maggioranza? Quando la dobbiamo sostituire, la sostituisco senz’altro con uno che lavora», assicura il democristiano.
Gli interventi avrebbero riguardato anche i consiglieri. È il caso di Giuseppe Ferro, esponente Udc, che Sgarbi aveva cercato di tranquillizzare dopo che il primo aveva manifestato l’intenzione di sferrare un attacco in consiglio comunale. Il tentativo però non era andato a segno e così il primo cittadino aveva chiesto un aiuto a Giammarinaro. «Sgarbi suggeriva di parlare lui con Ferro per dimostrargli che non era stato mollato e di trovare una compensazione. E – ricostruiscono i giudici – Giammarinaro asseriva che avrebbe provveduto in tal senso». Ennesima dimostrazione del potere a tutto tondo che il politico negli anni ha costruito nel Trapanese, anche attraverso quello che i giudici non esitano a definire «metodo mafioso».