L'ex premier ha fatto un salto nel pomeriggio alla Vecchia dogana, al porto. Dove lo attendevano il sindaco uscente e una folla di sostenitori e politici locali. Gli investimenti del Governo sulla città e l'ansia per i primi passi dell'esecutivo Conte
Gentiloni a Catania per il rush finale di Bianco «Preoccupato, Paese che si isola cerca guai»
«Ci sono due cose – dice l’ormai ex premier Paolo Gentiloni – che tutti riconoscono a Enzo Bianco: è una persona di straordinaria competenza ed è innamorato di Catania, innamorato davvero». Applausi composti dal pubblico assiepato sulle poltroncine della Vecchia dogana. Gentiloni prosegue. «Pensate, mi manda quasi tutti i giorni – sorride – messaggi con foto delle sue iniziative: la fontana, l’aiuola». Altri applausi, stavolta conditi da qualche sorrisetto velenoso a denti stretti. Bianco, che ha fortemente voluto a Catania il presidente del Consiglio uscente per semi chiudere l’ennesima campagna elettorale, abbozza, seduto a pochi centimetri dal suo ospite. Ancora una volta, la scenografia, piegata al «neo civismo» del primo cittadino, è ridotta all’osso: due sedie, un microfono e uno schermo, su cui vengono trasmessi – soprattutto all’inizio della manifestazione – video che raccontano i cinque anni di Bianco visti da Bianco.
Gentiloni va a braccio. Misurato, prudente, stabilmente in controllo. Anche quando alza il tono della voce. Poco prima del suo intervento aveva assistito ai video messaggi di sostegno di quelli che Bianco chiama i suoi «colleghi sindaci». Tra i quali non c’è Luigi De Magistris, assenza che MeridioNews aveva anticipato. «I governi Letta e Renzi – riprende l’ex primo ministro – e anche il mio hanno fatto molti investimenti su Catania». Il riferimento è in primo luogo al Patto per Catania. Quando poi l’analisi si sposta dal Sud allo scenario romano, la parola che ritorna con più frequenza è «preoccupazione». «Dobbiamo fare gli auguri di buon lavoro al nuovo Governo – avverte – ma mi preoccupano i numerosi comizi di ministri e di altri esponenti dell’esecutivo. Mi preoccupa, soprattutto, il linguaggio. Un Paese che si isola – aumenta i giri – non è un Paese sicuro: è un Paese che cerca guai».
Accanto alla rivendicazione dei risultati ottenuti nell’ultimo anno, Gentiloni inserisce dosi massicce, forse sorprendenti di auto critica, da estendere anche al Pd. «Pur in buona fede – riconosce – non siamo stati sempre consapevoli delle cicatrici lasciate dalla crisi economica. Talvolta – insiste l’ex presidente del Consiglio – abbiamo dimenticato chi era rimasto indietro, i perdenti. La crescita economica non ha ridotto le disuguaglianze, e noi non ce ne siamo accorti abbastanza». Un linguaggio che farebbe impallidire Matteo Renzi. «Però – continua – l’Italia ha ripreso il suo posto in Europa, e abbiamo cercato, seppur parzialmente, di rimettere il Mezzogiorno al centro della scena politica italiana».
Dopo un appello alla sinistra italiana («Basta dispetti, gli esperimenti ci hanno portato a Salvini»), Gentiloni lascia il microfono al padrone di casa. «Paolo – esordisce Bianco – è un esempio vero per tutti quanti noi, per l’intero Paese. Perché è una persona perbene, che rispetta gli altri». Poi ringrazia gli assessori, uscenti e designati, e si sofferma sull’impegno dei candidati inseriti nelle cinque liste a suo sostegno. «All’inizio della campagna – ricorda – la strada era in salita. Oggi, grazie a voi, che state girando Catania, abbiamo energia e abbiamo recuperato». Ottimismo forzato o sondaggi coperti? Lo si comprenderà tra appena tre giorni.