Omicidio dalle modalità mafiose ieri sera. Due killer, con abiti scuri e caschi integrali, hanno sparato sei colpi su Domenico detto Mimmo Sequino, molto conosciuto. Un'esecuzione che ricorda quelle degli anni '80. Ma i carabinieri lasciano aperte almeno tre piste. L'uomo è stato vicino al clan Rinzivillo
Gela, tassista ucciso nella piazza centrale Si indaga su tre piste, la città si interroga
A una settimana dal Natale Gela viene sconvolta da un omicidio dalle modalità inquietanti. Ieri sera nella centralissima piazza Umberto I, proprio di fronte la chiesa madre, due killer con abiti scuri e coperti da caschi integrali hanno sparato sei colpi, di cui cinque andati a segno, su Domenico detto Mimmo Sequino. Vana la corsa in ambulanza, l’uomo è morto a bordo del mezzo.
Mimmo Sequino era molto conosciuto in città: tassista abusivo con l’auto a noleggio poco distante, stazionava in piazza per molte ore al giorno. Ed era da tempo uno dei protagonisti della tradizionale festa di settembre del Palliantinu. Non erano neanche le 20, e la piazza centrale a quell’orario era come al solito gremita di gente, complice la ZTL e le festività. Una volta compreso ciò che era accaduto, c’è stato il fuggi fuggi generale: chi si è rifugiato nei negozi aperti e chi si è nascosto all’interno del presepe itinerante lì accanto.
Sull’omicidio indagano i carabinieri, che stanno seguendo varie piste. Si ripercorre il passato del tassista, già noto agli inquirenti perché coinvolto in due procedimenti come presunto affiliato alla famiglia mafiosa dei Rinzivillo. Nel 2006 Sequino venne citato all’interno dell’inchiesta Cobra, portata avanti dalla Dia di Roma, su un presunto intreccio tra mafia e politica ed è stato in seguito assolto. Nel 2008 invece patteggiò la condanna per il reato associativo mafioso nell’ambito della maxi operazione antimafia Tagli pregiati, che coinvolse 88 persone affiliate o vicino al clan di Cosa Nostra dei Rinzivillo. Da allora non ha più fatto parlare di sé, anche se i carabinieri annotano la frequentazione di alcuni stiddari. Tra le piste seguite dagli inquirenti ci sono anche presunti debiti di gioco e la vendetta passionale.
I militari dell’Arma hanno ascoltato fino a tarda notte il testimone oculare, l’uomo che era accanto alla vittima durante gli attimi della sparatoria, i familiari e i conoscenti della vittima. Inizialmente gli spari sono stati confusi con il rumore dei mortaretti, che lo stesso Sequino tra gli altri si divertiva ad utilizzare. Si stanno inoltre passando al setaccio le immagini dei sistemi di videosorveglianza della zona, sia pubblici che privati. La zona a traffico limitato in corso Vittorio Emanuele, luogo dell’omicidio, è attiva dal giugno 2015 e prevede un sistema di controllo elettronico basato su una rete di videocamere intelligenti. La magistratura ha disposto l’autopsia sul cadavere di Sequino.
L’uomo lascia la moglie e tre figli. L’omicidio ha scosso la città e ha riportato alla memoria un passato che si credeva superato, quando la guerra di mafia di fine anni ’80 fece centinaia di vittime. Quel che più preoccupa sono le modalità dell’esecuzione. Quasi sicuramente opera di professionisti, i killer avrebbero potuto ammazzare Sequino in qualsiasi momento. Per esempio sotto casa, a poca distanza dal luogo dell’agguato, in una zona molto meno illuminata e frequentata. Sequino da lì a poco sarebbe tornato nella propria abitazione, come era solito fare intorno alle 20.