La procura vuole «verificare nuovi e diversi elementi indiziari» dopo la deposizione di un operaio che ha denunciato che la zona «fino al 2017 non è mai stata coperta». L'azienda con una nota afferma che l'«accusa è priva di qualsiasi fondamento»
Gela, sequestrata un’area della raffineria Eni «Le discariche non sono più in uso dal 2011»
La procura di Gela ha disposto il sequestro di una vasta area all’interno della raffineria destinata a discariche. La misura si inquadra in una nuova inchiesta aperta per «verificare nuovi e diversi elementi indiziari rispetto a quanto già acquisito nel procedimento penale allo stato pendente davanti al tribunale nei confronti di 22 imputati». A finire sotto accusa furono i vertici della raffineria fino al 2014 imputati, tra l’altro, di disastro innominato.
Il sequestro è stato eseguito da personale della capitaneria di porto di Gela e del commissariato di polizia. La procura gelese indaga da circa un decennio su ipotesi di inquinamento ambientale e illeciti nello smaltimento dei rifiuti nell’area industriale. Diversi sono i processi già celebrati e alcuni sono ancora pendenti davanti al tribunale: in uno ha recentemente deposto un operaio della raffineria, Vincenzo D’Agostino.
«Fino al 2007 quella discarica non è mai stata coperta. Per undici anni ho fatto il custode ed ero quotidianamente a contatto con i rifiuti pericolosi e con le fibre che venivano portate via dal vento. Seppi che si trattava di amianto solo da un lavoratore dell’indotto», ha raccontato, riferendosi all’area della vasca 4 all’isola 32 dello stabilimento Eni di contrada piana del Signore. D’Agostino, che a causa dell’esposizione all’amianto si è ammalato, è parte civile nel dibattimento a carico di Bernardo Casa, Rosario Orlando, Aurelio Faraci, Biagio Genna e Arturo Anania, manager e tecnici dell’Eni. «Annottavo tutto quello che non andava in alcuni bigliettini e riferivo ai responsabili ma senza avere risposte – ha continuato l’operaio – Solo nel 2007 la discarica venne coperta. La cartellonistica che segnalava il pericolo venne inserita dopo il sequestro dell’area».
In una nota l’Eni smentisce «in modo categorico di aver praticato presso il sito industriale di Gela trattamenti illegali di rifiuti tossici o di prodotti di scarto derivanti dalle proprie attività». Preso atto del sequestro dell’area discariche della raffineria, auspica che si faccia chiarezza sulla vicenda e garantisce la massima collaborazione con l’autorità giudiziaria. Da Eni spiegano inoltre di avere sempre rispettato le «leggi vigenti e di avere messo in campo tecnologie all’avanguardia per il miglioramento e il risanamento ambientale che i controlli espletati hanno sempre confermato».
Secondo l’Eni, sono gli enti pubblici controllori a confermare «l’assenza di inquinamento diffuso nell’area e soprattutto di rischi per la popolazione della città di Gela. Il normale impatto ambientale derivante dalle attività industriali – prosegue la nota – non ha sortito conseguenze all’esterno dello stabilimento». L’azienda puntualizza che «le discariche non sono più in uso dal 2001 e sono oggetto delle procedure di risanamento ambientale». Attribuire responsabilità su presunte discariche all’esterno dello stabilimento è una accusa «priva di qualsiasi fondamento. Gela è un sito importante e, negli ultimi quattro anni, la società ha investito 800 milioni di euro in attività di riqualificazione industriale e del territorio».