Il governatore ha incontrato il commissario, imprenditori, sindacati e studenti. «Dobbiamo sconfiggere la rassegnazione perché è peggio della mafia». Quindi, rispondendo alle domande sull'impianto, ha detto: «Mi amareggia che finora nessuno abbia pagato»
Gela, Musumeci sull’inquinamento della Raffineria «Spero si possano conoscere i nomi dei responsabili»
«Spero che si possano conoscere nel volto, nel nome e nel cognome i responsabili di coloro che dovevano intervenire e nulla hanno fatto per evitare che decine, centinaia di innocenti di qualunque età dovessero pagare inconsapevolmente sull’altare di un lucro e di un profitto sporco e assolutamente inconfessabili». Il presidente Nello Musumeci in visita a Gela non può fare a meno di entrare nel cuore dei problemi della città: l’inquinamento legato alla presenza decennale della Raffineria di Eni. Lo fa rispondendo alle domande dei giornalisti sulle recenti rivelazioni che un ex operaio, il 70enne Emanuele Pistritto, ha affidato alla trasmissione della Rai, Nemo e su cui la Procura ha aperto un’indagine. Gli scarti della lavorazione della chimica e della raffineria sarebbero stati sotterrati in grandi vasche di oltre 500 metri quadrati e della profondità di 15 metri, a est del petrolchimico.
«Mi amareggia il fatto che finora nessuno abbia pagato – ha detto Musumeci, annunciando anche un incontro con la magistratura di Gela – Chi doveva appellarsi non lo ha fatto e si è girato dall’altra parte, mentre la gente per decenni ha dovuto vivere un lungo calvario. Questa è una terra difficile e triste nella quale chi rompe non paga». Il governatore ha incontrato i sindacati di varie categorie, imprenditori, commercianti, studenti e forze dell’ordine. Ricevuto dal commissario straordinario, Rosario Arena, subentrato dopo le dimissioni dell’ex sindaco Domenico Messinese, ha parlato con i lavoratori del reddito minimo di inserimento (Rmi) che manifestavano davanti al municipio per ottenere il rinnovo dell’incarico, dopo 18 anni di servizio, e la stabilizzazione negli organici del Comune. Poi ha sentito le rivendicazioni di alcuni ex dipendenti dell’indotto dell’Eni licenziati dalla ditta Turco Costruzioni. A tutti ha promesso il suo impegno per la ricerca di una soluzione.
«Gela non è più la città della mafia – ha affermato – ma quando lo Stato allenta la sua attenzione la criminalità rialza la testa: noi gliela dobbiamo schiacciare. Non a caso ho nominato ex magistrati, ex alti ufficiali ed ex questori al governo dei comuni commissariati. Questa città è la testimonianza dei problemi atavici della Sicilia, ma deve riappropriarsi del suo protagonismo senza più rassegnazione». Ha ricordato il finanziamento di 343 milioni per la nuova tangenziale, 143 milioni per il rifacimento e la navigabilità del porto rifugio. Quindi ha suggerito il varo di «un piano strategico per lo sviluppo di Gela» che però la città non ha ancora scelto dopo il declino della sua economia industriale. Ai rappresentanti sindacali che hanno sollecitato il rifinanziamento dell’accordo di programma, l’impegno per la sanità, un programma di sviluppo dell’industria e del turismo, ha annunciato «un prossimo calendario di incontri tematici a Palermo».
«Dobbiamo sconfiggere la rassegnazione perché è peggio della mafia. In passato si è governato applicando vernice sulla ruggine. Occorre invece la carta vetrata per eliminare il male alla radice e fare in mondo che la vernice resista in Sicilia i problemi sono emergenze strutturali. I fiumi esondavano perché non c’era un’autorità di bacino che ne governasse i dovuti interventi di manutenzione: e noi l’abbiamo istituita. Mancava una legge sui rifiuti: e noi l’abbiamo varata. Io non ho bisogno di fuochi d’artificio per annunciare certe cose – ha concluso – ma ripeto che la Regione va risanata, bonificata, altrimenti rischiamo di continuare a mettere vernice sulla ruggine».