La squadra mobile di Caltanissetta ha eseguito un'operazione che ha portato all'arresto di Gianluca Pellegrino, ritenuto il reggente della famiglia. Uscito dal carcere nel 2011 avrebbe ripreso in poco tempo il comando nel settore dello spaccio. Gli stupefacenti entravano nei luoghi della movida grazie ai buttafuori
Gela, droga nei locali gestita dal clan Emmanuello Ordini da cabine telefoniche e accordi coi Rinzivillo
Arrestato a Gela il presunto nuovo reggente del clan Emmanuello, storica famiglia di Cosa Nostra della provincia di Caltanissetta. Si tratta di Gianluca Pellegrino, 32 anni. L’uomo aveva già scontato otto anni di carcere e, uscito di galera nel 2011, in poco tempo sarebbe nuovamente riuscito a imporsi tra i vertici della mafia nissena. Rimettendo al centro degli affari criminali della città la famiglia Emmanuello che – dopo la morte, nel 2007, del capo di Cosa Nostra Daniele Emmanuello e la raffica di arresti eseguiti negli ultimi anni – si trovava allo sbando.
L’arresto di Pellegrino si inserisce in una più vasta operazione antimafia, denominata Falco, eseguita dalla squadra mobile di Caltanissetta e coordinata dalla locale Procura. Eseguite 16 misure di custodia cautelare nei confronti di presunti appartenenti a un’organizzazione criminale. Droga e racket i traffici principali di Pellegrino e dei suoi uomini. L’organizzazione contava sul feroce carisma del presunto reggente del clan, che solo nel 2003, ancora giovanissimo e a ridosso del primo arresto, si era reso responsabile di 12 estorsioni ai danni di altrettanti esercizi commerciali lungo una delle strade principali della città, la via Venezia che conduce verso l’Agrigentino a sud e verso il Ragusano a nord.
Nella descrizione fornita dagli inquirenti e corroborata dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, anche durante il lungo periodo di detenzione il rampante boss non avrebbe mai smesso di tessere la tela del potere mafioso. E una volta scarcerato, avrebbe stretto legami con le cosche palermitani e catanesi, dalle quali proveniva la droga che riforniva i luoghi della movida gelese.
Il giro vorticoso di denaro ha sancito una sorta di pax mafiosa con gli storici rivali della famiglia mafiosa dei Rinzivillo. I clan si erano divisi il controllo del territorio che significava soprattutto estorsioni e traffico di stupefacenti. Per impartire gli ordini Pellegrino avrebbe utilizzato le poche cabine telefoniche rimaste in città, così come accertato dalle intercettazioni audio-video disposte dagli agenti di polizia. Secondo gli inquirenti, la droga (soprattutto hashish, marijuana e cocaina) arrivava a Gela grazie all’aiuto di alcuni buttafuori che lavorano nei locali notturni della città. Mentre l’associazione criminale vigilava sullo spaccio presidiando i locali estivi gelesi, anche grazie all’ausilio delle armi che servivano soprattutto a scopo intimidatorio.