«In carcere, ho trovato nella pittura un rifugio, un modo per esprimere le mie emozioni e guardare sul mio passato da un’altra prospettiva». Da ex mafioso a collaboratore di giustizia, oggi Gaspare Mutolo è un pittore conosciuto a livello nazionale. Domani sarà a L’Aquila per raccontare la sua vita tramite l’arte in una libreria del capoluogo abruzzese dove saranno esposte alcune delle sue opere. Alle 18 presenterà il libro Ci sentivamo cavalli di razza.
Un passato segnato dall’amicizia con Totò Riina, un presente illuminato dall’arte e dalla redenzione. Dall’affiliazione a Cosa nostra al suo distacco coraggioso e alla sua testimonianza contro il crimine organizzato, Mutolo ha intrapreso un percorso che non si stanca di condividere. «Non mi sottraggo mai a occasioni di questo tipo – ha detto all’Ansa – Per me è importante rispondere a tutti i quesiti che mi vengono posti». Ottantaquattro anni già compiuti, iniziò a lavorare come meccanico prima di dedicarsi alla malavita palermitana a ridosso degli anni Sessanta.
«Vedevamo queste persone – ricorda Mutolo per spiegare il titolo Ci sentivamo cavalli di razza – inserite in un’organizzazione che faceva la differenza tra città e paesi come Corleone. Li percepivamo come ben inseriti in società. Erano loro, per noi, i cavalli di razza in un tempo in cui neanche si parlava di mafia. faccio un esempio – aggiunge – il cardinale Ernesto Ruffini le cui parole avevano in qualche modo messo in dubbio l’esistenza di un’organizzazione criminale. Se ne parlò più avanti dietro l’esempio di Giovanni Paolo II nel famoso discorso alla Valle dei Templi».
Con gli anni, però, le cose sono cambiate. «Non mi sento di avere tradito la mafia per paura – prosegue Mutolo – Ho ripudiato la violenza, l’assenza di moralità nel colpire indistintamente anche le donne e i bambini. Mi sono allontanato da figure come Bernardo Provenzano o Matteo Messina Denaro. Di quest’ultimo – conclude Mutolo – a cui neanche attribuisco un ruolo di capomafia, conoscevo bene il padre».
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