Gaetano Scotto, il boss col reddito di cittadinanza La sua ammissione durante l’interrogatorio del gip

I soldi delle estorsioni, del traffico di droga e del controllo di tutte le attività commerciali dell’Arenella, evidentemente, non bastavano al boss Gaetano Scotto, finito nuovamente in manette col blitz di due giorni fa. Ufficialmente disoccupato e nullatenente, dopo la scarcerazione da Rebibbia nel gennaio 2016, percepiva ogni mese il reddito di cittadinanza. Lo ha ammesso lui stesso, rispondendo ieri mattina alle domande del gip durante l’interrogatorio di garanzia. 

Finito in manette insieme ad altre sette persone, dovrà rispondere dell’accusa di aver ripreso il posto lasciato con il suo arresto, quello di vertice della famiglia mafiosa dell’Arenella. Un ruolo che, malgrado lui sia quasi restio, sembrerebbe avere accettato, sulla base dei riscontri investigativi emersi durante anni di indagine. Ruolo che ha tentato di portare avanti mantenendo un profilo basso e adottando una serie di cautele e di precauzioni che, però, non gli hanno evitato un nuovo arresto.

Un capo itinerante, così è definito Scotto tra le carte delle indagini, uno che non si ferma mai. Incontra tutti, parla con tutti, dispensa consigli, impartisce ordini, ma fa tutto all’aperto, per le strade del quartiere. È prudente, molto, sa che dal suo ritorno in Sicilia, dopo i quattro anni passati nel carcere di Rebibbia, ha tutti gli occhi su di sé. Solo dopo qualche tempo sceglierà alcuni luoghi ritenuti sicuri per gli incontri: il bar di fiducia, la pescheria, la torrefazione, il centro scommesse. Sempre coperto dalla coltre di estrema riverenza di molti abitanti dell’Arenella. Non fa mai il nome della persona con cui sta parlando, non usa mai perdersi in chiacchiere o dilungarsi su un argomento, non si fa attrarre dai ruoli di comando all’interno del mandamento o nella nuova Cosa nostra, che nel frattempo viene colpita sul nascere

Tutti tentativi per esporsi il meno possibile. E il rispetto nutrito nei suoi confronti tanto dai sodali quanto da quegli stessi concittadini a cui imponeva minacce e pizzo, ha per molto tempo fatto la differenza. La soggezione nei suoi confronti, nella borgata, era tale da trasformare le sue vittime quasi in amici, a cui a volte affidava addirittura delle confidenze, se non in fiancheggiatori veri e propri. Non stupisce, alla luce di questo, né che qualcuno dopo la sua scarcerazione gli abbia portato di propria iniziativa dei soldi malgrado non ci fosse stata alcuna richiesta esplicita da parte sua e del clan, né che il boss abbia addirittura ricevuto l’invito – rigorosamente raccolto – a prendere parte alla processione in mare di Sant’Antonio Abate, salendo a bordo della barca con la statua del santo. 


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