ROMA – La scena dei quattro di An contro tutti è così. Ventisei camionette, due pullman tipo granturismo e otto jeep dei carabinieri occupano piazza Montecitorio e piazza Colonna – trentasei mezzi azzurri, bisogna fare uno sforzo d’immaginazione, il colpo d’occhio è di presa militare del Palazzo – quando escono per la pausa pranzo quattro deputati di An: Italo Bocchino, Ignazio La Russa, Daniela Santanché e Donato La Morte.
Le transenne laggiù in fondo sono presidiate da due file di agenti col casco e lo scudo antisommossa: oltre le barriere qualche centinaio di manifestanti, di più non ne entrano, lo spazio è angusto. I ragazzi sono seduti a terra, impediscono fisicamente il passaggio. Altrettanti a destra, in via Uffici del Vicario. Via del Corso sgombra, per ora. I quattro parlamentari si avvicinano, gli studenti li riconoscono. “La Russa a Nassiriya”, gridano, partono i cori. Non li fanno passare, niente ristorante.
Daniela Santanché, sorridendo dietro gli occhiali da sole, solleva il dito medio della mano destra. La Russa fa convergere le due mani verso l’inguine, un gesto di invito. I cori diventano urla. Donato La Morte si informa sulle generalità del responsabile della sicurezza della piazza, il vicequestore Pellegrino, che ha appena risposto ai consigli dei deputati: “Grazie ma qui all’ordine ci penso io”. E’ l’una e mezza passata da poco, il pomeriggio comincia. Ci saranno otto persone in ospedale, stasera: fumogeni e colpi di manganello davanti alla Camera, era tempo che non succedeva.
Dentro, in aula, Letizia Moratti seduta al fianco di Silvio Berlusconi assiste alla discussione sulla “sua” riforma. Il loro arrivo è accolto per strada dal lancio di due fumogeni rossi. Fuori, vicoli compresi, ci sono un migliaio almeno dei centomila manifestanti del mattino: era previsto. Il sit in di fronte a Montecitorio era autorizzato fino alle 15. Se non che l’episodio del pranzo mancato, dei gesti e delle reciproche sfide accende gli animi. Nel corteo passa la parola d’ordine: si resta. Tutti seduti sotto le transenne, fermi. Il lancio dei candelotti ha innervosito le centinaia di agenti in piazza.
L’intero gruppo di Rifondazione e dei Comunisti italiani, qualche diessino fa la spola fra il palazzo e i manifestanti. Diliberto è dalle due alle transenne, parla. Folena presidia l’ingresso di sinistra. Mussi, capogruppo ds, fa mandare fuori dai commessi qualche bottiglia d’acqua. Altre bottiglie, e crackers, dalle finestre del gruppo parlamentare della Margherita.
Dentro questa faccenda dell’acqua innesca le polemiche. “Non ce n’era bisogno, non siamo mica nel deserto”, dice La Russa che pochi minuti fa era nell’ingresso comune dei bagni a leggere, insieme a Daniela Santanché, le agenzie di stampa con la cronaca dei gestacci. Landolfi il ministro inneggia a Cofferati: “Ci sarebbe bisogno di uno come lui”, da destra parte il coro, “Bo-lo-gna, Bo-lo-gna”. Anche fuori urlano: “Moratti vattene”. Sono le cinque, in aula parla il ds Martella. Gustavo Selva decide che vuole un gelato. Esce per andare da Giolitti. I manifestanti lo fermano, naturalmente: sono lì per quello. Non è che tutte le uscite dal palazzo siano interdette, dal retro si passa ma il varco che sceglie Selva è bloccato.
Interviene Folena in suo soccorso, i ragazzi gli comprano un gelato e glielo portano: crema e cioccolato. Qualcuno degli uomini attorno a Selva lo butta a terra. “Allora provochi”, urlano. Un poliziotto in borghese attraversa il sit in: ha in una tasca un manganello nell’altra il “manifesto”. Corre dall’altra parte, verso via del Corso. E’ lì la carica. Un gruppo di studenti sta tornando verso le facoltà occupate. Un paio di agenti, forse tre, escono dal cordone. Sembra che uno di loro sia stato raggiunto da uno sputo. I colleghi li chiamano indietro, ma il primo colpo di manganello è partito. Rissa immediata.
Otto feriti. Due ragazze con la testa sanguinante vengono caricate in ambulanza. Tra i feriti ci sono un fotografo e un operatore di Telenorba, Dante D’Aurelio: “Stavo riprendendo un gruppo di poliziotti che trascinava uno studente verso un blindato, mi hanno detto ‘togli di mezzo quella cazzo di telecamerà e mi hanno colpito”. Anche Stefano Montesi, fotografo, è stato ferito alla testa. Casini, in aula, telefona a Pisanu. Arrivano in piazza Russo Spena, Mantovani, Alfonso Gianni, Graziella Mascia, Katia Zanotti, Giovanni Lolli. I deputati ds e di Rifondazione parlano con Piero Bernocchi, leader dei Cobas, con Anubi Davossa, Movimento, e con gli studenti della Sapienza occupata. Bocchino, da lontano, osserva che “è tutta gente dei centri sociali”.
Tra i feriti però una studentessa c’è, ha 19 anni. Titti De Simone, in aula, chiede la sospensione della discussione. Lolli la appoggia, da destra gli urlano “cretino”. Letizia Moratti dice che si “meraviglia di tutto questo” perché lei non si è mai “sottratta al confronto”. Una cronista di Sky, fuori, sta dicendo in diretta che gli studenti hanno tentato di forzare il blocco e superare le transenne. La insultano, le gettano acqua e monetine, Davossa le grida “ti paga Murdoch”. Jana Gagliardi finisce il suo lavoro poi ai manifestanti dice: “Avete perso un’occasione di far bella figura”. Landolfi le darà la sua solidarietà. Sono le sette, il vicequestore Pellegrino parla con Fabio Gianfrancesco, studente di Filosofia, che chiede “la garanzia di non essere aggrediti se ce ne andiamo, perché dopo la carica non siamo più tranquilli”.
Pellegrino dice che non c’è stata nessuna carica, non gli risulta, lui non l’ha vista. Moratti, in aula, dice che lei è disponibile ad incontrare gli studenti “purché siano universitari”. Alfonso Gianni, Rifondazione, è al telefono per assicurarsi che “non ci siano ritorsioni su quelli, alla stazione, che tornano a casa coi treni”. E’ buio, la piazza è quasi sgombra. Ci sono una decina di ragazzi tutti molto giovani: sono rimasti a raccogliere le bottiglie vuote, a pulire.
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