Una folla così davanti e dentro alla cattedrale di Palermo non si vedeva dai funerali di Biagio Conte. Un saluto meritato quello che i palermitani e non solo hanno tributato a Vincenzo Agostino, l’uomo con la barba, colui che ha saputo trasformare due sconfitte in una enorme vittoria. Vittima due volte, Agostino, la prima il […]
L’ultimo saluto a Vincenzo Agostino, in migliaia per rendere omaggio al padre che non si è mai arreso
Una folla così davanti e dentro alla cattedrale di Palermo non si vedeva dai funerali di Biagio Conte. Un saluto meritato quello che i palermitani e non solo hanno tributato a Vincenzo Agostino, l’uomo con la barba, colui che ha saputo trasformare due sconfitte in una enorme vittoria. Vittima due volte, Agostino, la prima il 5 agosto del 1989, quando si vide uccidere davanti agli occhi il figlio, Nino, poliziotto di enorme levatura professionale e morale, la nuora, Ida Castelluccio e il bambino che portava in grembo. Un evento che avrebbe abbattuto l’uomo più tenace, ma non lui, che era di un altro pianeta, di tutt’altra levatura. Lui che insieme a sua moglie, Augusta Schiera, anche lei mai dimenticata, ha sopportato anche l’essere vittima per la seconda volta, quando le istituzioni lo hanno lasciato solo, hanno abbandonato il caso dell’uccisione di Nino e Ida, hanno tentato di insabbiarlo.
Ma dove anche la giustizia non riesce ad arrivare, lì sono arrivati gli Agostino, che non hanno mai abbandonato la lotta. Persino il giorno della cattura di Matteo Messina Denaro lui era lì, in caserma ad alzare la sua mano ferma e a chiedere al procuratore capo Maurizio De Lucia «Quando avremo verità?». E a rendergli omaggio c’erano anche quelle istituzioni che non sempre lo hanno capito – o non sempre lo hanno voluto capire – le associazioni, la famiglia, ovviamente, parti importanti della società civile. E il ritratto che di lui ha tracciato l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice gli rende a pieno giustizia.
«Vincenzo è stato da trentacinque anni, insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera, da quel tormentoso 5 agosto 1989, una vedetta, una sentinella, un vegliardo – dice – Nonostante il buio della notte, allorché nel suo spirito poteva scendere una schiacciante angoscia, è diventato una fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l’intero Paese. E particolarmente per i suoi cari e per noi che oggi lo salutiamo con il cuore spezzato ma con immensa ammirazione e con uno speciale debito di riconoscenza». Una riconoscenza che adesso va dimostrata, non solo con la presenza a un evento triste.