Fronte nazionale siciliano: “No” all’abolizione delle Province

da Giuseppe Scianò
segretario politico del Fronte nazionale siciliano
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il fatto che il Movimento Cinque Stelle abbia nel proprio programma l’abolizione – in Italia, – delle Province, non significa che il suo “ALLEATO” CROCETTA ed il Governo regionale siciliano debbano necessariamente sopprimere, in Sicilia, le “PROVINCE REGIONALI”, istituite con la legge regionale n° 9 del 1986. Con questa legge, peraltro, si dava esecuzione all’Art. 15 dello Statuto Speciale di Autonomia per la Regione siciliana che prevedeva, appunto, la soppressione delle “Circoscrizioni Provinciali” e gli Organi e gli Enti Pubblici che ne derivano, nell’ambito della Regione Siciliana, appunto. (a sinistra, Giuseppe Scianò)

E’ appena il caso di fare presente che le “PROVINCE” e gli ordinamenti ai quali si riferiva lo Statuto erano quelli che erano esistiti nell’Italia POST-UNITARIA e a tutto il ventennio fascista e che continuavano ad esistere – in attesa di radicali riforme – prima ancora che nascesse la Repubblica italiana.

Ciò si evince anche dal successivo articolo 16, con il quale si da’ alla “prima Assemblea regionale” il compito di “regolare” l’ordinamento previsto dall’art.15. E’, quindi, determinante, nell’interpretazione della volontà statutaria, riportarsi a quello che era l’ordinamento degli Enti Locali alla data del 15 maggio 1946, appunto.

In nessun articolo dello Statuto è legittimato il principio che si debba instaurare e poi perpetuare un regime di CAOS in Sicilia. Seppure con il pretesto di realizzare “economie”.

Non bisogna trascurare, altresì, il fatto che, – nell’ambito della Regione siciliana e a tutti i livelli del settore pubblico, le spese per il mantenimento, comunque, di un esercito di dipendenti escludono che vi sia la possibilità di destinare ad investimenti produttivi il “pubblico” danaro. E, con la soppressione delle Province regionali, se non sarà cambiata la musica, le spese per il personale resterebbero invariate. Anzi, potrebbero essere aumentate, in funzione degli improbabili nuovi CONSORZI di COMUNI che, a loro volta, non mancherebbero di procedere a nuove assunzioni di personale.

“No”, quindi, alla “soppressione” delle Province regionali, che potrebbero sempre essere migliorate nelle funzioni e nelle strutture.

SI’, invece, al Reddito minimo di Cittadinanza (o assegno minimo vitale o “salario sociale” che dir si voglia), la cui istituzione l’FNS Sicilia Indipendente perora da oltre trent’anni.

Precisiamo, però, che sarebbe assurdo correlare o subordinare il reddito suddetto all’abolizione delle Province regionali. Cosa, questa, che avrebbe il sapore di un espediente depistante. Il reddito di cittadinanza è, infatti, un provvedimento a carattere sociale doveroso e “primario”, la cui obbligatorietà trova, fra l’altro, fondamento giuridico nella Costituzione Italiana, laddove questa garantisce il lavoro e la solidarietà a tutti i cittadini. (Si vedano, in particolare, gli articoli 1 e 4).

La copertura finanziaria di tale maggiore spesa deve, comunque, essere trovata a monte, così come avviene per tutte le altre spese fisse dello Stato (e/o della Regione).

Nell’immediato, tuttavia, pare abbastanza percorribile la proposta di recuperare i fondi necessari attraverso il contenimento degli sperperi e dei costi della politica, ivi comprese le varie forme di sovvenzioni finanziarie ai Partiti politici, ai Gruppi parlamentari e via dicendo. E che, proprio in questi giorni, sono oggetto di vivaci cronache giornalistiche e giudiziarie. E che molti politici dicono di volere sopprimere e/o ridurre drasticamente. A parole, per il momento.

Per quanto riguarda la minacciata soppressione delle Province regionali in Sicilia, sarebbe bene che, infine, si tenessero in debito conto il valore dell’esperienza e della professionalità conseguite e contemporaneamente dei “costi” che il Caos “politico-amministrativo” comporta quando si sopprimono Enti che, tutto sommato, funzionano e forniscono servizi utili alla Società. E se ne improvvisano altri per i quali non si sa dove ci porterebbero.

A N T U D U !

Nota a margine.

Questa volta non possiamo che dissentire con l’amico Pippo Scianò. Le ragioni che illustra per mantenere in vita le Province sono fragili. Lo stesso richiamo alla legge regionale n. 9 del 1986, almeno per come lo dipinge il leader degli Indipendentisti siciliani, non funziona.

Ricordiamo che la legge 9 ha avviato un percorso che, poi, è stato interrotto. I liberi consorzi di Comuni, di fatto, non sono mai stati istituiti. C’era, è vero, la volontà di istituirli: ma questa volontà on si è mai tradotta in fatti concreti.

Anche un passaggio che abbiamo ascoltato in conferenza stampa – ammesso che risponda al vero – ci lascia perplessi. Per quello che abbiamo capito, gli attuali nove capoluoghi di provincia resterebbero Comuni capofila. Se l’intenzione è questa, va detto subito che si tratta di un errore che rischia di inficiare tutta la riforma.

Nell’articolo 15 dello Statuto non si parla di Comuni capofila. L’idea stessa di un “Comune capofila” limiterabbe la libertà dei Comuni di dare vita ai consorzi che, invece, è sancita dall’articolo 15 dello Statuto.

La nostra sensazione è che con questo ‘codicillo’ si stia cercando di salvare le Prefetture di giolittiana memoria. A nostro avviso le Prefetture vanno abolite, in accordo con lo Stato (con notevole risparmio per lo stesso Stato), trasferendo al Governo della Regione la gestione dell’ordine pubblico, dando così parziale attuazione all’articolo 31 del nostro Statuto. 

Anche l’imposizione del numero di abitanti – un 150 mila per ogni consorzio di Comuni – è un arbitrio non previsto dal nostro Statuto. I consorzi di Comuni dovranno funzionare a costo zero. Il Legislature regionale farebbe bene a non intervenire su questo aspetto imponendo numeri, perché, anche in questo caso, si tradirebbe lo spirito dell’articolo 15 dello Statuto.

Siamo invece d’accordo sul Reddito minimo di cittadinanza. Ma temiamo che non siano d’accordo i Partiti politici, che si illudono, ancora, di fare politica con il precariato.

la redazione

 

 

 

 

 

 

 


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