Formazione: il ‘caso’ Messina. Perché la politica ha ‘colonizzato’ tutto

L’inchiesta della magistratura sulla formazione professionale a Messina mostra i due volti dell’attuale politica siciliana: la debolezza, ma anche la forza.

La politica, almeno a Messina e dintorni, si mostra debole perché non sembra nemmeno in grado di gestire con un po’ di criterio i passaggi elementari di questo settore. Ma è anche forte, perché dimostra di aver capito in anticipo in quale settore dell’amministrazione regionale ci sarebbero stati ancora soldi da spendere (sarebbe più corretto dire da arraffare).

Non sfuggono agli osservatori di fatti e cose politiche siciliane i problemi, estremamente seri, delle finanze regionali. Come ha raccontato l’onorevole Vincenzo Vinciullo al nostro Stanislao Lauricina, ci sono assessorati della Regione che, oggi, non riescono più a far funzionare gli uffici perché ormai mancano i soldi anche per gli strumenti elementari.

L’Ars dovrebbe varare, prima di Ferragosto, una legge sull’assestamento di bilancio. Non è un fatto casuale. Si dirà: la crisi è generale e riguarda tutta l’Italia. Vero. Però la crisi finanziaria della Regione siciliana è ancora più grave. Detto in parole semplici, se Sala d’Ercole dovesse seguire l’indicazione della Corte dei Conti – cosa che, a nostro modesto avviso, dovrebbe fare – istituendo un fondo di garanzia per fronteggiare le probabili, mancate entrate pari a oltre 3 miliardi di euro, ebbene, non ci sarebbero più soldi per varare altre leggi.

In questo scenario problermatico – che la politica siciliana conosceva già qualche anno fa – non è un caso che tanti politici siciliani abbiano puntato molto sulla formazione.

Questo non significa che hanno lavorato per far funzionare il settore. Al contrario, hanno lavorato per accaparrarsi le risorse finanziarie di questo settore.

Nel 2011 la politica siciliana ha deciso di trasferire tutta la formazione professionale sul Fondo sociale europeo (Fse). Questa decisione è stata presa sia perché nel Fondo sociale europeo ci sono tanti soldi, sia perché nelle ‘casse’ regionali, invece, di soldi non ce ne sono più.

La scelta della politica siciliana – che in realtà viene avviata alla fine degli anni ’90, quando il settore formativo apre alle società per azioni (costituite in massima parte da politici) – è ‘lungimirante’ ma, al tempo stesso, espressione di una degenerazione, come dimostra la vicenda di alcuni Enti formativi di Messina. Dove, stando a quello che emergerebbe dalle indagini, succedeva di tutto e di più.

La vicenda di Messina è la spia di un problema molto più grande che il nostro giornale segnala già da qualche tempo: la presenza, sempre più massiccia, di politici nei settori economici della società siciliana.

Assistiamo a una sostituzione di ruoli impressionante. Incontriamo i politici siciliani nella gestione dei rifiuti, nella gestione dell’acqua (da qui alcune delle difficoltà nel ritorno all’acqua pubblica), in agricoltura, nella sanità e, come già detto, nella formazione professionale.

Ma mentre in altri settori la presenza è discreta (ufficialmente, nei rifiuti e nell’acqua non compaiono i politici: ma ci sono), nella formazione la presenza è pesante e sfrontata. Perché?

In primo luogo, perché, nella formazione professionale siciliana, c’è una ‘tradizione’ che, dalla seconda metà degli anni ’80 in poi, vedeva quasi tutti gli ex assessori regionali al Lavoro (assessorato che fino a qualche anno fa gestiva la formazione) diventare titolari di Enti formativi.

Nessuno ha mai messo in discussione questa ‘tradizione’ e nessuno l’ha mai censurata. Tant’è vero che, nella seconda metà degli anni ’90, quando alcuni soggetti hanno cominciato a fare ‘business’ anche con la legge regionale n. 24 del 1976, oltre che con i fondi europeinessuno ha detto nulla.

Oggi i nodi sono venuti al pettine. La vicenda di Messina apre uno squarcio che mette a nudo due grandi problemi:

la presenza dei politici in questi settore, che non è più tollerabile;

la presenza delle società per azioni in un settore nel quale non ci dovrebbe essere finalità di lucro, a meno che i formatori non decidano di operare – cosa che avviene – con le risorse private.

Ma continuare a fare ‘business’ con i fondi europei destinati alla formazione professionale è un errore. Soprattutto se questo ‘business’ consiste non soltanto nel fare utili economici, ma anche ‘utili politici’ (leggere voto di scambio: posti nel settore in cambio di voti).

Quest’ultimo è un fatto gravissimo. Come ha scritto qualche giorno fa il nostro Giuseppe Messina, in Sicilia abbiamo assistito, sempre nel settore della formazione professionale, a un fatto aberrante.

A ridosso di ben due campagne elettorali alcuni Enti e società che operano nella formazione hanno licenziato personale perché in ‘esubero’, ottenendo per i licenziati la Cassa integrazione. Contemporaneamente, gli stessi soggetti che hanno operato i licenziamenti hanno assunto nuovo personale.

La dimostrazione che gli esuberi, in realtà, erano forzati (e quindi non era giustificato il ricorso alla Cassa integrazione) e che le nuove assunzioni rispondevano a criteri legati alla ricerca del consenso elettorale. Ora, che avvengano fatti del genere è veramente incredibile.

 


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