Formazione, alla ricerca del modello anti-scandali

A seguito dello scandalo che ha coinvolto alcuni Enti formativi della provincia di Messina e diversi parlamentari regionali e nazionali, la Regione siciliana starebbe correndo ai ripari elaborando un sistema di regole di accreditamento da applicarsi prima dell’avvio della seconda annualità dell’Avviso 20/2011. Regole più rigide per gli Enti formativi? E quali? E con quale modello organizzativo? Con quale sistema di controlli?

Il settore formativo è esploso, di questo ne siamo tutti certi. Così come siamo convinti che le responsabilità politiche di questa ecatombe affondano le radici al precedente Governo regionale. Proprio così. L’idea di una programmazione triennale governata dal criterio dell’unità di costo standard è stata concepita e introdotta dal famigerato trio delle meraviglie LAC (Lombardo, Albert, Centorrino). In una Sicilia esposta, più delle altre, a forme di gestione illecita dei finanziamenti pubblici, era apparsa, a detta di molti operatori e osservatori del settore (compreso il nostro giornale che più volte lo ha denunciato), troppo “libertina”.

L’idea, cioè, di ottenere un finanziamento e poterlo gestire liberamente senza alcun rendiconto, ma solamente con l’obbligo di raggiungere l’obiettivo dell’erogazione del servizio formativo, beh, era alquanto azzardata. Col tempo e con il verificarsi di alcuni fatti che hanno interessato l’autorità giudiziaria si è avuta la certezza che proprio tale impostazione era ed è sbagliata.

Al presidente della Regione, Rosario Crocetta, va il merito di aver messo il coltello sulla piaga facendo emergere irregolarità amministrative nella gestione dei finanziamenti pubblici. Adesso l’obiettivo è non castigare l’intero settore: lo sbaglio di alcuni non necessariamente deve significare che l’intero settore è marcio. Occorrono regole nuove e modalità chiare.

In questo il Governo regionale deve dimostrare autorevolezza e chiarezza di intenti. I recenti fatti che hanno portato agli arresti ‘eccellenti’ sono un chiaro campanello d’allarme su quello che non va. Il focus è sul costo gestione e sulle modalità di spesa e controllo della spesa. Sotto accusa l’unità di costo standard e il sistema di controllo attuato dall’amministrazione regionale, rivelatori ad oggi un colabrodo.

Sull’unità di costo standard, in diverse regioni, per esempio, si è ben operato attraverso puntuali analisi di settore: parametrando il costo standard al costo della vita gli Enti non si sono allontanati da un reale e corretto sostenimento della spesa per l’erogazione del servizio formativo. Andrebbe fatta, nel settore della formazione professionale siciliana, un’analisi, per esempio, sui criteri di imputazione dei costi generali al fine di introdurre un criterio di costo medio (reale). Uno studio legato ai parametri strutturali, sostenuti in maniera similare dagli Enti formativi, come il costo dell’affitto locali per esempio, il costo per la certificazione della qualità, la fideiussione, le spese telefoniche, l’Enel, il riscaldamento, la manutenzione ordinaria immobili, le forniture per ufficio, le consulenze, la pubblicità, la pulizia locali, gli immobili e attrezzature, il noleggio e leasing, gli ammortamenti o la manutenzione ordinaria delle attrezzature.

Poi, c’è da chiedersi, chi sceglie e con quale criterio il locale per lo svolgimento delle attività didattiche? Ad oggi l’Ente deve attenersi solamente ad alcuni vincoli quali quello territoriale (finanziamento su base provinciale) e quello relativo al rispetto dei requisiti di sicurezza, di dimensioni minime e barriere architettoniche. E poi?

L’Ente può decidere il prezzo per il canone di affitto , i metri quadri dove allocare le unità di lavoro, perché? Se la Regione siciliana, prima di allocare i propri uffici è sottoposta a verifiche e perizie per individuare, tra gli altri, un congruo rapporto metri quadri/personale e quindi prezzo complessivo della locazione, perché questo non dovrebbe potersi fare anche per i locali presi in affitto dagli enti formativi e pagati con fondi pubblici. E poi perché aprire all’accreditamento di nuovi Enti formativi? Attraverso quali criteri sarà accreditato l’Ente del richiedente? Potrà essere una società di capitali? Potrà accreditarsi una società che esiste solamente sulla carta, magari nata in questi giorni, oppure dovrà dimostrare di possedere strutture con contratti di affitto stabile e personale in carica all’atto della richiesta di accreditamento?

Un’idea potrebbe essere quella dell’introduzione della cooperativa gestita dai lavoratori della formazione professionale che raggiungerebbe due obiettivi: salvaguardare i livelli occupazionali e garantire controlli reali, snelli, rapidi e trasparenti. Come?

A spiegarcelo uno dei tanti direttori che operano negli enti formativi siciliani. Si tratta di Salvatore Arrigo, direttore dell’Ente di formazione Istituto Mediterraneo Ricerca e Comunicazione di Termini Imerese. Il quale ha precisato la sua idea di riforma attraverso l’introduzione dello strumento cooperativo per la gestione della formazione professionale attraverso l’affidamento ai lavoratori attualmente impegnati e che abbiano un titolo di lavoro da almeno tre anni nell’ultimo quinquennio di attività. Seguendo l’idea avanzata da Arrigo, le cooperative dovrebbero sottoporsi ad un regime di controllo pubblico regionale attraverso al nomina dei revisori dei conti da parte della regione siciliana, i quali certificherebbero la rendicontazione trimestrale e annuale.

La cooperativa dovrebbe ricevere l’80 per cento all’inizio dell’attività formativa, potendo la cooperativa essere governata da un sistema di controllo pubblico. “Questo significherebbe garantire realmente i lavoratori, ha precisato Arrigo, e sottoporre a controllo il sistema attraverso un monitoraggio costante, reale, trasparente e sistemico da parte dell’amministrazione regionale. I revisori effettuerebbero, a cadenza trimestrale la relazione con il rendiconto delle spese sostenute. Ciò implicherebbe risparmi di tempo e soldi realizzando una effettiva sburocratizzazione dell’iter legato ai controlli e ai pagamenti”. Si potrebbe iniziare intanto con i lavoratori licenziati che potrebbero essere destinatari di strumenti per avviare la gestione diretta della corsualità.

Quello che non ha funzionato ad oggi è proprio l’attuale modalità di rendicontazione che dovrebbe essere effettuata entro due mesi dalla chiusura dell’attività alla presenza del revisore dei conti e di un funzionario, solo dopo aver passato le verifiche sul territorio di “primo livello”. Un sistema di controllo, quello effettuato attraverso gli uffici periferici del dipartimento regionale Lavoro che ha evidenziato falle e pecche, visti anche i recenti accadimenti legati allo scandalo che ha coinvolto tre enti formativi della provincia di Messina.

Occorre focalizzare l’attenzione sull’intera filiera dei controlli che pur presentando oltre venti fasi nel suo iter, resta carente nel risultato finale che spesso è poco trasparente e non evita il verificarsi di vizi e reati amministrativi n ella gestione dei corsi formativi. I fatti recenti hanno dimostrato, infatti, che le rendicontazioni vengono effettuate mesi e mesi dopo la chiusura delle attività, ritardo che ha contribuito alla esplosione di certe dinamiche oggetto di recente attenzione da parte dell’autorità giudiziaria. Con la modalità della cooperativa, si legge nella citata nota, si dovrebbe accelerare la procedura, aumentando le garanzie sul sistema e si risparmierebbe nel complesso con parametri gestionali riferiti alla struttura e non al singolo corso. Si eviterebbero, inoltre, gli appetiti degli speculatori, vanificandone la corsa alla gestione dei corsi di formazione professionale. In tal senso non convince la scelta dell’assessore Scilabra di pubblicare un nuovo bando per l’accreditamento degli enti formativi aperto anche a nuovi enti. Andrebbe, invece, fatta una scrematura degli oltre mille e 600 enti di formazione accreditati ad oggi e non l’apertura a nuovi ingressi.

La scelta potrebbe ampliare ulteriormente il settore facendolo scivolare verso presumibili meccanismi clientelari. Potrebbe apparire, cioè tale scelta come la risposta a nuovi equilibri politici creatisi negli ultimi mesi che punterebbero all’ingresso nel settore per governarlo. E siccome è ampiamente dimostrato che la politica non ha giovato alla qualità complessiva del servizio formativo erogato nei decenni, sarebbe più opportuno che ne rimanga fuori.

Nella sua nota Arrigo punta il dito sulla effettiva qualità del sistema formativo nel suo complesso. “Serve un effettivo cambiamento – ha precisato – la qualità non può essere solamente una mega procedura burocratizzata, è un modello che non funziona, serve la qualità totale che premia la soddisfazione dei lavoratori, che producono un prodotto-servizio, e dell’utenza finale”.

Riportiamo l’idea sviluppata nella lettera fatta pervenire in redazione.

“Un moderno modello di sviluppo organizzativo deve essere centrato sulla persona e non sul compito. Un sistema che metta al centro i lavoratori che da semplici esecutori dovrebbero divenire responsabili di tutto il processo nel suo complesso, rendendo compatibili le esigenze de management con quello dei lavoratori e dell’utenza. Un modo per moralizzare il settore e renderlo etico, basandosi sulla soddisfazione dei lavoratori e dell’utenza finale. Secondo il pensiero di studiosi della gestione delle risorse umane, Diming, Rogers, Gordon, ‘la qualità deve essere affare di tutti e di ciascuno’. Quindi non solo gestita dal cosiddetto management. Per far questo il buon governo della cosa pubblica dovrebbe responsabilmente incentrarsi su un modello più umano che, rispettando i principi etici (di autodeterminazione) possa essere effettivamente orientato ad una moralizzazione. Se, invece, si volesse partire da idee rivoluzionarie, si rischierebbe di introdurre un sistema autoritario e super burocratizzato. Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, che ha puntato la sua azione sull’approccio rivoluzionario, dica e spieghi quale modello intende applicare attraverso l’elaborazione di un nuovo sistema di accreditamento degli enti formativi. Guai ad un ritorno al Taylorismo secondo il quale si prevedeva una rigida parcellizzazione del lavoro, con conseguente deresponsabilizzazione del lavoratore e l’alienazione della funzione. Famosa la frase di Taylor: ‘fatemi un milione di autovetture purché siano verdi’. L’idea della subordinazione nel modello di lavoro ha fatto esplodere il sistema capitalistico. Un modello come quello giapponese, di qualità totale, ha dimostrato il raggiungimento di quella qualità totale che è sinonimo di efficacia ed efficienza ma anche di soddisfazione del lavoratore e dell’utente. Quello giapponese è in contrapposizione a quello capitalistico sfrenato e lontano da quello burocratico-verticistico, al modello cioè del Santone e del Generale (cioè della Chiesa e della Caserma). Nei nostri giorni, infatti, il capo indiscusso è il burocrate o il politico che si sostituiscono alla funzione della Pubblica amministrazione, ma la storia ha condannato tale approccio funzionale. Crocetta faccia attenzione ad attuarlo e sostenere il ruolo preminente del politico o del burocrate nominato dalla politica. Sarebbe il definitivo fallimento (e quindi chiusura) della formazione professionale in Sicilia e del sistema economico. E poi, serve la formazione continua e permanente del personale operante presso gli enti formativi. Aggiornamento professionale dei lavoratori su progettazione esecutiva dei corsi e quindi dell’erogazione del servizio con una organizzazione del lavoro che dovrebbe assicurarne la qualità di sistema nel suo complesso, applicando metodologie di lavoro orientate verso criteri di efficacia/efficienza, di miglioramento continuo (Iso oppure,Mcq/Qualità totale)”.

Le esternazioni dell’assessore Scilabra non appaiono chiarire come cambieranno le regole poste a governo del sistema dei controlli da parte dell’amministrazione regionale. Inasprire i controlli sugli Enti ci può stare ma rischia di vanificare ogni effetto se resta monco il sistema delle verifiche nel suo complesso. Questa moralizzazione che partirebbe dalla Formazione professionale andrebbe estesa a tutti gli altri settori dove la pubblica amministrazione opera con concessione di provvidenze pubbliche.

 


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