Forconi, la sfida ai governi

Dopo una settimana di proteste in tutta la Sicilia a noi sembra che non manchino gli elementi per tracciare un bilancio quanto meno provvisorio della grande manifestazione di popolo. La prima considerazione è che il segnale che agricoltori, pescatori, autotrasportatori, lavoratori edili e, anche se in minima parte, gli studenti hanno voluto dare è forte e preciso: il Movimento dei Forconi ha tutti i requisiti per bloccare la nostra Isola. Questa constatazione, però, riassume il grande limite di tale rivolta popolare: il prezzo di queste proteste, infatti, non può essere fatto pagare alla popolazione dell’Isola. Vanno cercati mezzi e strumenti per colpire gli interessi di chi ha messo in ginocchio centinaia e centinaia di migliaia di famiglie siciliane.
Giusto, insomma, aver lanciato il segnale con una prova di forza. Ma è altrettanto giusto – a fronte di una politica, nazionale e regionale che fino ad oggi non ha dato alcuna risposta ai problemi sollevati da tanti siciliani – se la battaglia dovrà proseguire, non danneggiare ulteriormente la popolazione siciliana. Bloccare il rifornimento di benzina ai distributori, creando disagi a migliaia di automobilisti dell’Isola, è un clamoroso autogol. Lo stesso discorso vale per il rifornimento di viveri e di medicinali.
Se gli agricoltori e i pescatori dell’Isola – che sono le categorie messe veramente male – vogliono ottenere dei risultati, debbono cercare l’alleanza con tutti gli altri siciliani (che, peraltro, sono in larga parte in sofferenza a causa dell’inettitudine del governo regionale e della rapacità di un governo nazionale che è espressione proprio di quelle grandi banche che hanno provocato l’attuale crisi e che, adesso, vogliono depredare gli italiani). Dunque, basta disagi per la popolazione. Adesso è il momento dell’intelligenza.
Gli agricoltori siciliani oggi ridotti alla fame, che sono tantisssimi, e i pescatori, che non sono pochi, debbono avere chiaro un concetto: oggi, in Sicilia e nel resto d’Italia, sono pochissime le persone che hanno contezza della loro situazione. La prima cosa da fare – cosa che fino ad oggi non è stata fatta – è spiegare, con parole semplici e con esempi chiari, che il titolare di una piccola azienda agricola (piccole aziende che in Sicilia sono la stragrande maggioranza) non ce la fa più. Tenendo conto che spiegare a tutti i siciliani la crisi in cui versa oggi l’agricoltura significa aiutare gli stessi siciliani ad orientarsi nell’acquisto di prodotti alimentari.
Significa spiegare, cominciando con qualche esempio, che i produttori di grano dell’Isola non ce la fanno più a campare vendendo il loro grano, perché gli viene pagato a un pezzo irrisorio. Significa che l’abbandono, già in corso, della coltivazione di grano fa sì che la pasta che oggi finisce nelle nostre tavole viene prodotta con grani che arrivano da chissà dove. Anche da Paesi nei cui suoli sono presenti sostanze radioattive. Significa spiegare che le facoltà di Agraria della Sicilia hanno impiegato decenni di studi e sperimentazioni per consentire ai nostri agricoltori di produrre grani limitando al minimo l’uso di pesticidi per combattere malerbe, insetti dannosi e malattie fungine. Ciò significa che i grani che arrivano da chissà dove sono trattati con pesticidi che la nostra farmacopea agricola ha bandito dalla fine degli anni ‘60 perché dannosi (cangerogeni) per il nostro organismo. Perciò, va spiegato ai siciliani che quando i cerealicoltori scendono in piazza lo fanno non solo per tutelare il loro reddito, ma anche la nostra salute.
Lo stesso discorso vale per altri prodotti. L’olio d’oliva extra vergine, per esempio. Quando sugli scafffali della grande distribuzione organizzata troviamo una bottiglio di un liro di olio d’oliva extra vergine al prezzo di due euro e mezzo tre euro, ebbene, cari lettori, ci stanno prendendo in giro. E stanno attentando alla nostra salute. Perché per produrre un chilo di olio di oliva ci vogliono sette chili di olive. Ciò significa che un chilo d’olio d’oliva extra vergine non può costare 2,5-3 euro. Se il prezzo è questo, ebbene, c’è qualche problema. Ciò significa che quando gli olivicoltori siciliani scendono nelle strade per protestare perché economicamente non ce la fanno più (ed è anche logico, visto che il loro prodotto subisce la concorrenza di oli scadenti, ma venduti a prezzi stracciati), non lo fanno solo per difendere la loro attività imprenditoriale, ma anche la nostra salute.
Vi siete chiesti perché, a luglio – che è il mese d’elezione delle angurie – il sapore delle stesse angurie non è più quello di un tempo? Ormai è rarissimo trovare un’anguria veramente buona. Perché? Perché in larga parte non sono più prodotte in Sicilia, ma altrove. Dove, magari, come succede per il grano, per gli ortaggi e per l’altra frutta estiva, la coltivazione viene effettuata partendo da materiale genetico scadente, con l’utilizzazione ‘pesante’ di pesticidi che, lo ripetiamo, in Italia non si utilizzano più da oltre trenta o quarant’anni perché dannosi per la nostra salute.
Non va meglio per i pescatori siciliani. Nonostante l’aumento dello ‘sforzo di pesca’ (che significa costi sempre maggiori per le imbarcazioni), il pescato è sempre più scarso. Le risorse ittiche del Mediterraneo, da troppi anni, subscono un depauperamento irrazionale e, spesso, incontrollato. Non solo. I pescatori siciliani – che con le attività di pesca ci debbono vivere – subiscono anche la concorrenza, spesso sleale, della pesca sportiva, cioè di chi, in teoria, va a pescare per divertimento (ma che, in pratica, spesso vende il pescato).
A tutto questo si aggiungono regolamenti comunitari (dell’Unione Europea) in materia di pesca pensati per i mari del Nord Europa che nulla hanno a che vedere con il Mediterraneo.Ma che vengono ottusamente applicati dalle altrettanto ottuse burocrazie italiane. Quando, ad esempio, si vieta certe tecniche di pesca ai Paesi europei che si affacciano nel Mediterraneo – facendo finta di non sapere che in altri Paesi non europei che si affacciano sempre nel Mediterraneo le stesse tecniche continuano ad essere utilizzate – si danneggiano soltanto le nostre Marinerie, avvantaggiando quelle di altri Paesi.
La verità è che, già da un decennio, la Sicilia avrebbe dovuto puntare sugli allevamenti di pesce a mare, utilizzando le tecniche che consentono di ridurre al minimo gli eventuali problemi di inquinamento. Ma questo è un compito che dovrebbe essere svolto da un governo regionale di alto profilo, e non certo da governi che guardano – ad esempio – ai fondi europei non come a occasioni di sviluppo per la comunità siciliana, ma come la possibilità, in quasi tutti i settori, di mettere giù bandi truffaldini che servono soltanto a spartire soldi ad amici e parenti (il ritardo nella pubblicazione dei bandi, in alcuni casi, è dovuto al fatto che la politica siciliana non trova conveniente pubblicarli senza avere prima la certezza di conoscere in anticipo i ‘vincitori’).
La protesta di questi giorni, con riferimento, soprattutto ad agricoltori e pescatori, dovrebbe, in primo luogo, comunicare tutto questo ai siciliani. Provando a trovare tra la popolazione dell’Isola i veri alleati di questo Movimento. Perché l’interesse, come abbiamo provato a spiegare, è comune.
Avendo chiaro che gli avversari sono tre: l’Unione Europea (che emana direttive e regolamenti che penalizzano regolarmente l’agricoltura e il mondo della pesca siciliana), il governo nazionale delle banche (costringendolo, tanto per cominciare, a sbaraccare Equitalia, che sta solo provocando danni enormi in tutto il Mezzogiorno d’Italia) e il governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo, che è forse il peggiore governo della storia dell’Autonomia siciliana.
La prima cosa da fare – la prima cosa che il Movimento dei Forconi deve pretendere dal governo Lombardo – è un controllo minuzioso sui fondi del Psr, sigla che sta per Piano di sviluppo rurale. Si tratta dei fondi europei (con cofinanziamento di Stato e Regione) che ammontano a 2 miliardi di euro. Risorse che dovrebbero essere spese in Sicilia entro il 2013 (anche se, visti i ritardi, Bruxelles concederà di certo una proroga). I Forconi debbono chiedere come sono stati spesi fino ad oggi questi soldi. E, soprattutto, controllando, passo dopo passo,come verranno spesi nel futuro.
Il tema è delicatissimo. Perché i truffatori, complice la solita Unione Europea, sono già all’opera da tempo. Da a Bruxelles, stando a quello che abbiamo capito, hanno esteso i benefici di tali interventi agli agricoltori a titolo non principale. Cioè a quelli – per esempio, gli stessi politici – che si improvvisano agricoltori svolgendo due mestieri proprio per ‘acciuffare’ questi fondi. E poiché chi non svolge attività di agricoltore a titolo principale fa anche un altro lavoro: e poiché si tratta di professionisti, dei già citati politici e di altri soggetti in grado di condizionare la burocrazia dell’assessorato regionale alle Risorse agricole, è bene che gli agricoltori, anzi, che i protagonisti del Movimento dei Forconi controllino affinché questi fondi vadano a sostegno dell’agricoltura e delle tante famiglie di agricoltori scese in piazza in questi giorni. Il Movimento dei Forconi si ricordi che l’attuale governo regionale e l’attuale alta burocrazia regionale – sotto questo profilo – non danno alcuna garanzia.

 


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