“Fondo di redenzione del debito pubblico”: addio alla sovranità del nostro Paese

DIETRO L’OPERAZIONE – ANNUNCIATA QUALCHE GIORNO FA DAL SOLITO MARIO DRAGHI – C’E’ LA SOLITA UNIONE EUROPEA. TUTTI I PASSAGGI DELLA CREAZIONE DEL NUOVO ‘MOSTRO’ BANCARIO E FINANZIARIO CHE FINIRA’ DI TRASFORMARE I CITTADINI ITALIANI IN SUDDITI

Henry Ford un giorno disse: “E’ un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”.

Per assurdo che possa sembrare le parole di Ford sembrano oggi più vere che mai.

La colpa è certamente dei media, ma anche di un certo modo di fare “politica”, distraendo l’attenzione della gente per poter agire nell’ombra e adottare scelte arbitrarie, ma di importanza devastante per la vita dei cittadini.

Così, spesso anche esimi esperti e grandi cattedratici non si accorgono di ciò che sta avvenendo sotto i propri occhi (o forse qualcuno ha detto loro di chiuderli). E, se anche qualche notizia trapela su pochi giornali, viene nascosta alla stragrande maggioranza della popolazione che continua così a vivere in una sorta di limbo e di incoscienza (nel senso etimologico del termine) e a permettere che persone spesso non elette democraticamente, o scelte non si sa in base a quali criteri selettivi, decidano del loro futuro.

Due anni fa, era il maggio 2012, venne fuori la notizia (celata tra i soliti pettegolezzi e i problemi contingenti di una crisi economica forse per questo creata) che l’Unione Europea stava valutando la proposta di alcuni consiglieri della Merkel di introdurre un’alternativa agli Eurobond “creando” un “Fondo di redenzione del debito pubblico” come strumento anti-crisi.

Sulle prime l’idea apparve una forzatura, ma poi anche altri Paesi europei, forse sotto la spinta della Germania, cominciarono a supportarla. Ovviamente i media non ne parlarono più, anche perché le proposte degli “esperti” chiamati a definire le linee d’azione da adottare apparvero troppo “pesanti“ sotto il profilo economico e finanziario per molti Paesi, quelli che avevano un rapporto Deficit/Pil che alcuni ritenevano “troppo elevato”.

L’idea dei tedeschi era di creare un fondo che “acquistasse” il debito pubblico di ogni Paese che eccedeva il 60% del Pil. Il fondo avrebbe dovuto avere come garanzia “congiunta” la ricchezza di tutti i Paesi dell’Eurozona e finanziarsi emettendo titoli di debito sul mercato. I diversi Stati sarebbero rimasti comunque responsabili del pagamento di capitale ed interessi dei titoli acquistati dal fondo, ammortizzabili in 20 anni.

Ogni anno, gli Stati avrebbero dovuto versare gli interessi ed una quota del debito stesso. Per fare un esempio, in Italia questo “fondo” acquisterebbe una quota del debito pubblico pari a circa il 65% del Pil (circa 1000 miliardi di Euro), ma per contro dovrebbe “versare” circa 50 miliardi di Euro all’anno come rimborso del capitale. A cui dovrebbero essere aggiunti circa diversi miliardi di Euro a titolo di interesse.

In altre parole, se un simile sistema fosse reale, l’Italia dovrebbe dare a questo fondo (non si sa gestito da chi e come, ma di certo non da persone scelte in base a criteri selettivi democratici) circa il 6% del proprio Prodotto interno lordo. Fermo restando che sulle spalle degli italiani resterebbe sempre il problema di “gestire” il restante 60% del debito nazionale (in rapporto al Pil).

In poche parole, gli italiani si troverebbero a pagare una montagna di tasse per dare dei soldi ad un soggetto terzo (come la BCE questo soggetto non sarebbe un’istituzione dell’UE, ma un ente privato in mano, molto probabilmente, a banchieri privati e senza scrupoli). Le varie “manovre finanziarie” e successive “manovrine” diventerebbero subordinate e irrisorie in relazione al primo, e ben maggiore, debito.

Sin da subito fu chiaro anche ai più sprovveduti (a patto che avessero avuto la possibilità di accedere ai documenti) che a guadagnarci sarebbero state soprattutto le banche e, in modo particolare, le banche tedesche (che sono ancora piene di BTP). A perdere, invece, sarebbero i Paesi in maggiori difficoltà, primo fra tutti, l’Italia.

Ovviamente, in Parlamento non se ne parlò neanche. Né i leader dei partiti politici (ne esistono ancora?) si presero la briga di informare i cittadini di questa “proposta” e delle conseguenze che avrebbe potuto avere.

Troppo impegnati a far finta di salvare l’Italia (cosa che non hanno fatto lo prova che, in questo periodo, la situazione è peggiorata) e ad introdurre “manovre” finanziarie incapaci di risollevare l’economia nazionale (i peggioramenti dovrebbero essere ormai ben chiari a tutti), anche i capi di governo hanno detto o fatto niente (del resto nessuno di loro è stato “eletto“ dagli italiani, ma nominato da leader di partito).

Sono passati due anni e (come per il Fiscal Compact, accordo anche questo sottoscritto in modo che alcuni giudicano illegittimo e che imporrà, anche questo, un pesante aumento del carico fiscale sulle già gravate spalle degli italiani), mentre nel Bel Paese si passa il tempo a parlare dei gelati del governo un’equipe quasi interamente teutonica ha lavorato.

Nei mesi scorsi Gertrude Tumpel-Gugerell (ex banchiera centrale austriaca, famosa per le operazioni speculative che misero in difficoltà la banca), Agnés Bénassy-Quéré (economista francese), Vitor Bento (ex banchiere centrale del Portogallo), Graham Bishop (uno degli ideatori, negli anni ’90, dell’Euro), Claudia Buch, Leonardus Lex Hoogduin (economista olandese e consigliere della Banca dei Regolamenti Internazionali, ovvero il gruppo che gestisce le banche centrali e che, quindi, controlla tutto il sistema bancario del globo), Jan Mazak (slovacco, avvocato generale presso la Corte europea di giustizia di Lussemburgo), Belén Romana (direttore del Tesoro spagnolo e amministratore delegato della Sareb, la “bad bank” cui sono stati conferiti gli asset tossici del settore immobiliare iberico), Ingrida Simonyte (ex ministro delle finanze della Lituania), Vesa Vihriala (Membro dell’Associazione degli industriali finlandesi) e Beatrice Weder di Mauro (tedesca del board della ThyssenKrupp e di Hoffman-La Roche), hanno prodotto, su incarico dell’allora presidente della Commissione Europea, Barroso, un documento, anzi “il” documento. Ovvero le modalità per trasformare, entro un ristretto lasso di tempo (il documento è stato firmato già a marzo scorso), il “progetto” in “realtà”.

Casualmente del gruppo di lavoro non hanno fatto parte esperti provenienti da molti dei Paesi maggiormente interessati alle conseguenze delle misure previste da questo strumento finanziario. Del gruppo di lavoro non faceva parte nessun greco, nessun cretese e, soprattutto, nessun italiano.

Molti invece i tedeschi (come dicevamo certo quelli che hanno i maggiori “interessi” nell’iniziativa) e molti i membri della commissione erano legati a banche o a istituti di credito “internazionali” e con passati discutibili sull’esito delle loro decisioni.

Ovviamente i quotidiani non hanno parlato di questo documento, né del suo contenuto. Eppure sarebbe stato importante far sapere agli italiani (ma anche a spagnoli, greci, cretesi, ungheresi e a molti altri “europei”) che nel documento (non più di sette pagine) erano riportati punti assai importanti. Come il punto 10. Dove si legge: “The DRF/P [il Debt Redemption Fund n.d.r.] implies a significant transfer of sovereignty…” che tradotto vuol dire “il Debt Redemption Fund implica un significativo trasferimento della sovranità dei singoli Stati…” . O come il punto 15, che prevede il “trasferimento da ciascun Stato membro di una quota uguale di debito (ad esempio, il 20% del Pil) al Fondo”. Come dire, cedere parte delle risorse di un Paese a questo soggetto “sovranazionale”…

Il tutto ben sapendo che (come riportato al punto 30) gli attuali Trattati UE “non consentono alcuno schema di emissione congiunta di debito poggiante su responsabilità solidale degli Stati membri…” e che “gli attuali Trattati dell’UE non contemplano le competenze adeguate per l’UE di istituire un DRF / P o uno schema eurobills (anche se basata su pro rata) attraverso la legislazione UE”.

In altre parole, ci si sta organizzando per impossessarsi delle sovranità nazionali dei singoli Stati senza neanche chiedere il loro parere su come fare e ben sapendo che non ne hanno il diritto.

Però lo fanno lo stesso e se anche le leggi nazionali non dovessero permetterlo (punto 35), sarà sempre possibile “convincere” i Parlamenti dei singoli Paesi ad approvarle (“There might be possible ways to respect those limits. A scheme could the more likely be found in line with those limits, the more clearly it were legally ensured that the maximum of a Member State’s liability is in advance limited, that there is a possibility for regular votes in national parliaments on concrete liabilities assumed (on top of information rights and rights to influence) and that there are strict conditions and safeguards designed to ensure fiscal discipline”).

Leggendo i risultati del gruppo di lavoro (chissà se il “nuovo che avanza” o qualcuno dei suoi “esperti”, dopo aver mangiato il gelato, li ha letti) vengono in mente le parole pronunciate da Mario Draghi solo pochi giorni fa: “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali”, ciò al fine di “non disfare i progressi fatti nel consolidamento di bilancio” (da non dimenticare che la regola del pareggio di bilancio non esisteva nella Costituzione Italiana fino all’arrivo di Monti che lo ha forzatamente imposto).

La sfida oggi in Europa è epocale ed è tra chi vuole riappropriarsi di quote importanti di sovranità (alimentare, energetica, valutaria, monetaria, fiscale… ) per poter tornare a incidere positivamente sulle condizioni di vita dei propri cittadini; e chi vuole, attraverso organismi sovranazionali non eletti democraticamente, continuare l’opera di dissoluzione delle democrazie nazionali con tutte le conquiste sociali realizzate negli ultimi decenni. E certo prima di allora l’Italia stava meglio di oggi.

Ciò che attende l’Europa sono anni di povertà, disoccupazione di intere popolazioni e svendita di beni pubblici e imprese statali alle banche e a pochi oligarchi finanziari. Non solo. Continuando così si avrà il totale smantellamento degli Stati nazionali, ultimo baluardo contro la globalizzazione e l’omogeneizzazione dei mercati.

Per queste persone “E’ un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”.

Foto di prima pagina tratta da VISIONEINSIEME.BLOGSPOT.COM

 

 

 

 

 


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