Fiscal compact 1: il ‘regalo’ di Monti all’Italia…

Tra le misure che in questi giorni riempiono la bocca dei politici e dei politicanti e che, purtroppo, sono ai più sconosciute, c’è il Fiscal Compact. Come spesso accade, sarebbe giusto che i politici o i loro tecnici o, almeno, i tecnici/politici spiegassero alla gente cosa stanno facendo, deliberando e legiferando e, soprattutto, le conseguenze che tali decisioni avranno sulla vita dei cittadini che li hanno eletti (o almeno così dovrebbe essere).

Il Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria ovvero Tscg, in italiano, ma, come sempre, il termine anglofono rende forse meno amara la medicina) è un accordo di diritto internazionale sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 Stati per regolamentare i bilanci secondo le regole del Six Pack, ovvero un pacchetto di misure restrittive costituito da 5 regolamenti e da una direttiva (da cui il nome) comunitari.

E qui sorge subito il primo problema: in realtà il Fiscal Compact non è mai stato ratificato dall’Unione Europea, sebbene apporti modifiche ed integrazioni al Patto di stabilità e crescita del 1997 e, di fatto, imponga ai firmatari il rispetto di misure che dovrebbero consentire il coordinamento economico e di bilancio dell’UE.

Secondo problema: se entro l’1 gennaio 2013 sarà stato ratificato da almeno 12 membri della zona euro, il Tscg, pur non essendo stato emanato, varato o, almeno, autorizzato dal Parlamento Europeo, entrerà in vigore (ma chi lo ha deciso?).

L’obiettivo del Fiscal Compact dovrebbe essere queo di garantire il rafforzamento dell’economia attraverso l’introduzione e il rispetto, da parte degli Stati aderenti, di alcune regole volte a migliorare la governance della zona euro. In estrema sintesi, il trattato impone agli Stati che aderiscono che il proprio bilancio debba essere in pareggio o in attivo. Sono consentiti deficit soltanto temporanei e solo in caso di ciclo economico negativo o in periodi di gravi crisi e, comunque, nella misura in cui tale deroga non comprometta la sostenibilità del debito di lungo periodo.

Come se non bastasse, gli Stati firmatari del Trattato si impegnano all’inserimento della regola del bilancio in pareggio all’interno di disposizioni legislative interne di carattere vincolante e aventi carattere permanente (golden rule). L’inosservanza da parte degli Stati membri degli obblighi previsti in tema di disavanzo e in tema di “costituzionalizzazione” del pareggio di bilancio dovrebbe dar luogo ad un’azione presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e all’ irrogazione di una sanzione.

Come detto, però, il Trattato non è stato firmato nel quadro dell’ordinamento internazionale, al di fuori quindi di quello comunitario. Inoltre, non mancano dubbi e perplessità, giuridicamente e politicamente parlando. A prima vista, si direbbe che il Fiscal Compact aspiri a riconoscere all’Unione Europea la possibilità di intervenire al livello sovranazionale, per tutelare un bene “comune” che non può essere salvaguardato attraverso il solo intervento dell’attore statale. Ciò sembrerebbe essere destinato ad evitare le conseguenze dovute all’indebitamento del settore pubblico nei Paesi che non sono in grado di rispettare la disciplina finanziaria che impone l’adozione di regole più severe per evitare comportamenti che possono generare un ulteriore indebitamento.

(continua in altra parte del giornale)


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