«Nei giorni scorsi è iniziata l’ultima crociata dell’amministrazione contro coloro che non smontano le pedane alle ore 2 della notte per rimontarle alle ore 8 del mattino». Attacca così la Fipet, la divisione di Confcommercio per i pubblici esercizi e il turismo, a proposito dell’ultimo caso che riguarda pub e ristoranti etnei. Costretti, da una nuova decisione del Comune di Catania a smontare di notte le pedane esterne dove si trovano i tavolini. Le strutture però «si trovano lì a causa del dissesto dei marciapiedi o del dislivello tra l’ingresso e il marciapiede», continua il presidente Roberto Tudisco. Una decisione che porta con sé non pochi problemi burocratici, come nel caso del ristorante Cutilisci, a San Giovanni Li Cuti. «La nostra pedana ha ottenuto l’autorizzazione non sono del Comune, ma anche della soprintendenza – racconta Alessandro Tomasello, il titolare – Eppure adesso rischiamo di chiudere per tre giorni». Mentre da anni si attende un regolamento comunale sui dehors, che stabilisca delle linee guida chiare.
La Fipet rimprovera la «totale assenza di trasparenza amministrativa – spiega Tudisco – Adesso sembrano cambiate le regole ma nessuna modifica normativa o di regolamento è intervenuta». E in effetti la prima richiesta dei Cutilisci risale al 2007. «Allora abbiamo presentato il progetto e chiesto il parere di polizia, Usl e soprintendenza – racconta Tomasello – e il Comune ha dato il via libera sulla base anche dei disegni, ma adesso sembra non andare più bene». Per il ristorante, i problemi sono cominciati lo scorso anno. Con un’ordinanza dell’agosto 2014, il Comune ha diffidato il locale a smontare la struttura perché non sarebbe stata amovibile. «Sono iniziati gli accertamenti – prosegue Tomasello – Noi abbiamo nominato un tecnico di parte e il Comune il suo, il quale ha detto che la pedana era troppo pesante per essere smontata velocemente». Una cosa diversa da una struttura fissa, ma in ogni caso ai Cutilisci è stato richiesto di presentare una domanda di autorizzazione urbanistica. Come nel caso di una costruzione vera e propria, ancorata al suolo.
Ma questo non sembra essere l’unico paradosso della storia. «Allora, così come richiesto dal Comune, abbiamo rimosso la parte superiore del gazebo – spiega il titolare – Ma poi sono venuti i vigli urbani e ci hanno detto che così subentrava una modifica rispetto al progetto approvato dalla soprintendenza». Un corto circuito burocratico – all’interno dello stesso Comune – con un finale ancora da scrivere, ma che potrebbe risultare amaro. «Ci è stata intimata la chiusura del locale per tre giorni», racconta Tomasello. A partire da una settimana dalla notifica e cioè il prossimo weekend, da venerdì a domenica. «Dovrei chiudere in altissima stagione, lasciando a casa 20 persone che lavorano». «A Firenze, Roma, Milano, città con patrimoni artistici notevoli così come in altre, tutto ciò è consentito e anzi incentivato», fa eco la Fipet.
Che lancia un appello al sindaco Enzo Bianco e alle istituzioni cittadine. «Le regole dovrebbero avere lo scopo di aiutare coloro che operano nella legalità e metterli nelle condizioni di svolgere serenamente la propria attività – scrive Tudisco – altrimenti l’unico messaggio che promana dallo Stato è che, con evidenza di tutti, abusivo è meglio». «Noi abbiamo sempre cercato di essere più che in regola – conclude Alessandro Tomasello – Da quando abbiamo aperto a oggi, ogni anno abbiamo rinnovato la licenza, che ogni volta viene data e tolta. Ma almeno finora abbiamo sempre lavorato».
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