Fernanda e i libri da rubare

A volte le rubriche del telefono sono generose.

“Buonasera, Lei non mi conosce, mi scusi se la disturbo, posso rubarle cinque minuti?”

“Si, mi dica“.

“Posso sottoporLe delle cose scritte per avere una sua opinione?”

Era stato questo il primo contatto con Fernanda Pivano.

Con uno sguardo ti inchiodava, con una domanda ti denudava, con un sorriso ti faceva sentire a casa, sia che fosse in quella sua bella a Milano sia che fosse in un incontro pubblico.

Nanda se n’è andata, la sua salute già provata nel corso del tempo stavolta non ce l’ha fatta; spero non fosse sola in quella clinica privata al momento dell’ultimo respiro e vicino ci fosse almeno la signora Elena che le era stata molto accanto, e magari la visione di Judith Malina, anima e corpo (assieme a Julian Beck) del Living Theatre e carissima, continua amica negli anni.

Di lei avrete già letto tanto su più giornali, la letteratura americana, la beat generation, Hemingway e tutti i giardini circostanti… Chissà che ne direbbe lei, leggendoli con la sua profonda consapevolezza del dolore e l’insopprimibile entusiasmo dei bambini, che la vita non era riuscita a toglierle.

Ha avuto una vita molto “ricca”, ove la felicità non aveva messo radici, men che meno in un matrimonio dal cognome ridondante fra le cui pareti rimbalzava il suo dolore.

Ha contribuito a liberare la mente di molti di noi, che poi avremmo provveduto a liberare pure il corpo, cosa questa a lei non riuscita e fonte di gran rimpianto personale.

Anarchica pacifista, ha seminato in molte più persone di quanto pensasse e stentava a credere quando le dicevi che ragazzi di 20 anni, in questi anni 2000, la conoscevano ed amavano, o forse era solo la sua umiltà, l’umiltà dei grandi, a manifestarsi.

Odiava la guerra, detestava il potere: “Il potere vuole la guerra, perché se non c’è guerra non c’è potere” la sua equazione verbale.

“Sorella” di Hemingway, una profonda amicizia con Ginsberg, il sacro fuoco di Kerouac e Gregory Corso, De André il prediletto, l’umanità di Vasco Rossi e il genio di Capossela fra i cantautori italiani d’oggi, questi alcuni nomi nel suo scrigno.

Persona anche parecchio usata (ognuno faccia i conti con la propria coscienza), le belle mani sempre curatissime che tenevano in mano una penna da un euro, mi raccomandò, parlando di se stessa, di raccontare un episodio, una volta se ne fosse andata, e mantengo la parola.

Donna di buona fede (quella buona fede di cui gli scaltri approfittano per aver luce riflessa, appropriarsi di patrimoni ed altro), non sempre sapeva della pubblicazione delle sue opere: durante una telefonata le raccontai d’aver visto un suo libro pubblicato in edizione economica.

Lei non ne era a conoscenza ma la sua voce s’illuminò d’entusiasmo dicendo: “Che bello, così ora i ragazzi che non hanno soldi potranno rubarlo e leggerlo” questo il suo pensiero, e non me ne vogliano i librai se ho rispettato la promessa di raccontare quest’episodio.

Amava i fiori bianchi e i gabbiani, di lei mi rimane molto e da qui la saluto con quest’haiku scritto per lei. Le piaceva.
 

“Oltre l’inverno
una coppia di gabbiani –
due ciliegie”
………
 

E “Ovunque proteggi” nell’aria.

Toni Piccini

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