Nato da un gruppo di economisti italiani, alcuni oggi all'estero, si propone un programma in dieci punti «banali, ma che nessuno dice» spiega Michele Boldrin, docente della Washington University a Saint Louis, in Missouri. Abolizione della cassa integrazione, riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, tagli alla burocrazia. Temi che attraggono curiosi e studenti ma non convincono tutti: «Sono troppo elitari», commenta un giovane tra il pubblico
Fermare il declino sbarca a Catania «Movimento pragmatico, ma poco politico»
Fermare il declino. Quello dell’Italia. Un obiettivo che, negli ultimi anni, si sente da più parti. Ma che da qualche mese ha dato il nome a un nuovo movimento politico – in sigla Fid -, fondato da un gruppo di economisti: il più noto Oscar Giannino, Michele Boldrin, Paola Bruno, Sandro Brusco, Alessandro De Nicola, Silvia Enrico, Andrea Moro, Carlo Stagnaro, Luigi Zingales. Tutti italiani, molti di loro oggi lavorano e vivono all’estero. Ma hanno costruito una rete territoriale che tocca anche Catania, con un comitato presentato ieri alla presenza di circa 150 persone di tutte le età. Tra curiosi, studenti e neolaureati in economia, liberi professionisti dei più diversi settori. Un incontro poco ideologico e molto tecnico, all’insegna delle simpatie liberiste. Definizione che però non piace a Michele Boldrin, docente della Washington University a Saint Louis, in Missouri, intervenuto alla presentazione.
«Trovo imbarazzante che il dibattito sulla politica italiana sia ancora fermo agli ismi, alle ideologie». Per lui la parola d’ordine – casualmente con la stessa desinenza – è pragmatismo. «Non sono qui per dirvi che alle prossime elezioni bisogna fare la rivoluzione – si rivolge al pubblico – Ma, come società civile, bisogna porci un problema in un’ottica almeno decennale». I passi verso lo stop del declino sono contenuti in un programma di dieci punti. Banali, secondo il professore, «ma nessuno li dice»: una gestione delle pubbliche amministrazioni «come i paesi civili»; il coraggio di abolire la cassa integrazione, «che crea un’illusione per cui il tuo lavoro non serve più ma te lo pago lo stesso», e sostituirla con il sussidio di disoccupazione «che spinge al cambiamento»; e, soprattutto, una migliore distribuzione delle risorse con i sempreverdi tagli alla casta «intesa non solo come parlamentari, ma come apparato burocratico formato da almeno 50mila dirigenti. Vi sembra possibile che il presidente dell’Inps percepisca al mese tre volte di più di Barack Obama?». Un discorso che non dev’essere stato recepito a pieno dai lavoratori dell’Aligrup, intervenuti ancora una volta per manifestare le loro ragioni e richiamare le istituzioni a fare qualcosa contro il fallimento dell’azienda siciliana.
E sui costi si concentra anche l’intervento di Maurizio Caserta, anche lui economista seppur di una scuola di pensiero diversa, fresco di annuncio della sua candidatura a sindaco di Catania. «Sulle ricette si può poi trovare l’accordo – spiega – Ma l’importante è avere una prospettiva lunga e poche chiacchiere. Si sono rimandati i costi della ristrutturazione, adesso bisogna capire che tutti devono sopportare i costi della crisi, ma distribuiti in modo equo». Ed equità è appunto la sua di parole chiave. Che nell’intervento non manca di fare riferimento alla situazione del Comune etneo, nuovamente sull’orlo del dissesto. Al microfono si succedono poi i responsabili di Fermare il declino Catania: più o meno giovani, piccoli imprenditori, impegnati. C’è Carlo Cocina, responsabile per la Sicilia orientale, la cui parola d’ordine, incomprensibile per i più, è efficientamento. Rendere la società più efficiente in modo da liberare i catanesi da quell’immagine di «mangiatoia di voti» che i politici hanno di loro. «Un fattore umano da rivalutare che è poi il motore del cambiamento», aggiunge Carlo Palazzo, coordinatore cittadino di Fid. Interventi semplici ma dal cambiamento così profondo capace anche di sconfiggere la criminalità organizzata: «Quando diciamo meno Stato, diciamo meno sottobosco in cui si annidano le mafie», taglia corto Luciano, 27 anni, da Palermo, come si presenta lui stesso.
Trascorse quasi due ore dall’inizio dell’incontro, il dibattito inizia a scivolare sul tecnico. Tante le domande, poco il tempo per le risposte. Ma la sala intanto si svuota. Molti, infatti, erano lì solo per curiosità. «Li ho scoperti tramite il tam tam della Rete e mi sono incuriosito. Più che altro perché mi interessa la materia – spiega un abilitante commercialista di 28 anni, seduto tra il pubblico – Mi chiedo se come alternativa politica invece prenderà forma davvero». Un dubbio condiviso anche dai più entusiasti. «Seguo il blog di Boldrin da tre anni e, leggendolo, ho cambiato prospettiva – racconta Andrea, 21 anni, di Vittoria, studente di Economia a Catania – Al liceo mi esaltavo per le bandiere rosse, poi mi sono avvicinato alle idee liberiste». Ma sul versante politico del movimento ha qualche riserva. «Seguo il Fid ma non ho mai aderito perché non sono convinto dell’impostazione. Molto economica e poco politica: nel programma mancano temi come l’ambiente e l’università dal punto di vista della formazione. E poi sono troppo elitari, non parlano con i giovani». I voti, invece, suggerisce Andrea, dovrebbero cercarli lì. «Ma forse il punto è che loro non sono dei politici», commenta. Con uno sguardo quasi dispiaciuto così raro in tempi di antipolitica.