Dopo cinque mesi si è chiusa martedì all’imbrunire la stagione della caccia che in Sicilia era iniziata l’1 settembre. Tra specie protette prese di mira, calendario venatorio contrario alle norme europee e controllo del territorio sostanzialmente inesistente, quello della caccia in Sicilia è un sistema fuori controllo. Lo ha spiegato bene Anna Giordano, del Wwf Messina, e direttrice della Riserva naturale orientata Saline di Trapani e Paceco: «Il corpo forestale regionale, che sarebbe quello preposto alla vigilanza, è ridotto ai minimi termini e non è in grado di garantire un controllo su tutto il territorio. Le altre forze di polizia non riescono perché, con organici sempre più ridotti, devono impegnarsi negli ordinari servizi».
Quindi, nonostante sulla carta ci siano dei divieti e delle limitazioni, i cacciatori spesso non li rispettano nella quasi certezza di rimanere impuniti. Anche durante questa ultima stagione venatoria, infatti, si è registrata una impennata di ricoveri di animali protetti nei centri di recupero della fauna selvatica. «Noi abbiamo recuperato molti animali protetti che nulla hanno a che vedere con l’attività venatoria – racconta il direttore dell’area protetta Riserva naturale orientata Saline di Priolo, Fabio Cilea – a cominciare da tre bianconi, rapaci rarissimi di cui in Sicilia non si contano più di nove esemplari. Ricordo poi anche il ferimento dell’aquila del Bonelli che è stato un danno irrecuperabile».
Molti sono stati anche gli animali portati nei due centri di recupero di Ficuzza e di Enna: un fenicottero trovato ferito nella zona di Giarre, un falco pellegrino a Catania, una cicogna nera e due cicogne bianche abbattute e «c’è da considerare – spiega il referente per Catania della Lipu, Giuseppe Rannisi – che questi sono solo una percentuale minima rispetto a quelli che non vengono ritrovati in mezzo ai boschi, sulle colline o vicino ai fiumi». Sono soprattutto poiane e gheppi, invece, i rapaci arrivati con gravi ferite al centro di recupero fauna selvatica di Messina gestito dalla Man, l’associazione Mediterranea per la natura. «Si continua impunemente a violare le leggi – sottolinea Giordano – non solo con l’uccisione ma anche con la cattura di uccelli vivi, come i cardellini o i verdoni, che alimentano un mercato ancora troppo florido, oppure utilizzando i richiami, effettuati con registrazioni molto sofisticate, per attirare le quaglie al suolo».
Per quanto riguarda la situazione dei falchi sullo Stretto di Messina che negli anni era migliorata molto, «quest’anno – lamenta Giordano che ha alle spalle 38 anni di lavoro in quell’area – a causa del vento di scirocco, che si è unito al mancato presidio del territorio, ne sono stati feriti e uccisi parecchi». Inoltre, alcune specie pur non risultando ancora fra quelle protette, in realtà, sono in forte declino. «Perfino i cacciatori – osserva Rannisi – si sono accorti che il coniglio selvatico è già scomparso in molte aree della Sicilia. Diversi sono poi gli animali in diminuzione che non andrebbero più sottoposti al prelievo venatorio: molte specie di anatre, così come la beccaccia, la pavoncella e l’allodola che, fra l’altro, pesa solo poco più di una cartuccia. Se non si prendono realmente dei provvedimenti a tutela della fauna selvatica – afferma – la caccia morirà di morte naturale, nel senso che non ci sarà più nulla da cacciare».
Con la chiusura della stagione venatoria, il fenomeno che continua a preoccupare è comunque quello del bracconaggio, «anche se c’è da dire – sottolinea Cilea – che spesso il bracconiere è lo stesso cacciatore che gioca sulle sottili differenze. Il vero problema – conclude – è che manca ancora il rispetto per la biodiversità e la cultura per il rispetto della fauna selvatica che di suo soffre già di tantissimi problemi: dall’agricoltura intensiva alla distruzione degli habitat naturali».
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