L'ultimo dossier Wwf include diverse aree dell'Isola, dove la fauna selvatica viene catturata e uccisa per poi essere destinata al commercio illegale. Fondamentale l'impegno dei volontari, ma l'associazione lamenta una scarsa vigilanza delle autorità. E pensa a una legge sul «delitto di uccisione di specie protetta»
Bracconaggio, le zone della Sicilia più a rischio Da Linosa allo Stretto, fino al mercato di Ballarò
Rapaci, cicogne, gru, tordi, allodole, fringuelli e tortore. Sono queste le specie vittime del bracconaggio in Sicilia, che cattura e uccide la fauna selvatica, per destinarla al commercio illegale.
Nell’ultimo dossier, #FurtodiNatura: storie di bracconaggio made in Italy, il Wwf ha individuato anche alcuni siti dell’isola fra le 27 aree italiane a rischio bracconaggio, termine che non è ancora stato nemmeno codificato da leggi e norme. Nelle Pelagie e a Pantelleria si pratica la caccia illegale e il bracconaggio ai migratori nell’ultima tappa prima dell’Africa, mentre nel Canale di Sicilia si pesca illegalmente il pescespada. Nel mercato palermitano di Ballarò e in quello di Messina è notevole il fenomeno del commercio illegale di piccoli uccelli, in particolare dei cardellini, che avviene in connessione con la criminalità organizzata. Secondo i dati raccolti dal Committee against bird slaughter, si stima che ogni giorno in questi mercati vengono venduti dai 300 ai 400 cardellini.
Lo Stretto di Messina, attraversato ogni anno da 30-45mila uccelli migratori, «è una delle zone calde in cui il bracconaggio nei confronti di specie protette e rare resta ancora molto inteso – spiega Fabrizio Bulgarini, autore del dossier e responsabile dell’area biodiversità del Wwf – e viene praticato non solo con armi da fuoco ma anche con veleni e trappole». Aquile di Bonelli, lanari, falchi pecchiaioli, bianconi, cicogne e albanelle, che nel mese di maggio passano sullo Stretto di Messina e sono ancora poco esperti nel volo, spesso vengono uccisi. «Quest’anno l’impatto della sorveglianza è stato molto positivo – precisa Bulgarini – ma questa attività deve essere fatta costantemente sia nel tempo che nello spazio, perché se ci sono delle zone che rimangono non sorvegliate. Purtroppo il fenomeno del bracconaggio ha subito una recrudescenza. Anche perché – spiega – le persone che prelevano i pulcini dai nidi o che sparano agli animali per sfregio o per collezionismo hanno un’ottima conoscenza dei territori e individuano subito le zone che rimangono incustodite».
Ed è grazie all’impegno dei volontari delle associazioni ambientaliste se il fenomeno criminale si è fortemente ridotto, anche se non è ancora stato eliminato del tutto. «La vigilanza sulla biodiversità e sulla fauna selvatica, che con l’ultima legge sulla caccia ha acquisito l’importante status di “patrimonio indisponibile dello Stato”, dovrebbe essere garantita dalle autorità – lamenta Fulvio Mamone Capria, il presidente della Lega Italiana Protezione Uccelli – cui i volontari dovrebbero affiancarsi con attività di monitoraggio e supporto».
Intanto, il Wwf Italia ha elaborato una proposta di legge per l’introduzione del «delitto di uccisione di specie protetta», con pene sia detentive che pecuniarie più severe e adeguate alla gravità del reato. «È importante presidiare i territori e collaborare con le forze dell’ordine per fare in modo che intervengano tempestivamente – conclude Bulgarini – ma è fondamentale anche che il sistema giuridico italiano preveda sanzioni certe e adeguate per chi compie delle azioni illegali».