Lucio Setola, fino a qualche mese fa titolare dell'accusa nel procedimento sulla gestione dei laboratori dell'ex facoltà etnea, continua a essere il convitato di pietra nelle ultime udienze riservate alle difese degli otto imputati. «Ha utilizzato qualunque elemento per portare avanti la sua tesi», afferma Fabio Palazzo, legale dell'ex direttore amministrativo Antonino Domina. Prossimo appuntamento il 4 luglio, poi la decisione del collegio il 17 ottobre
Farmacia, la sentenza a ottobre L’ex pm Setola «l’ultimo dei giapponesi»
Lucio Setola come Teruo Nakamura. Il pubblico ministero che ha seguito fin dalla sua apertura il caso dei presunti illeciti nella gestione dei laboratori di Farmacia viene dipinto da Fabio Palazzo – legale dell’ex direttore amministrativo dell’Ateneo Antonino Domina – come l’ultimo dei giapponesi che si rifiutò di cedere le armi alla fine della Seconda guerra mondiale. «Ho l’impressione che il pm si sia comportato così – ha affermato l’avvocato durante l’udienza di oggi – Ha utilizzato qualunque elemento per portare avanti la sua tesi». La seduta odierna è stata l’ultima riservata alle difese degli otto imputati a vario titolo di gestione di disastro ambientale colposo, omissione di atti d’ufficio e falso ideologico. E anche se il pm Setola è stato sostituito da ormai nove mesi dal collega Giuseppe Sturiale è suo il nome a essere continuamente invocato.
Protagonisti di oggi sono stati i due amministrativi sui quali pendono le richieste di condanna maggiori, quattro anni per Domina e tre anni e otto mesi per Lucio Mannino, ex dirigente dell’Ufficio tecnico di Unict. «L’ex direttore amministrativo ha quasi ottant’anni – ha tuonato il suo secondo difensore, Vincenzo Mellia – Per il pm dovrebbe farsi quattro anni di carcere». E ha proseguito: «Non dormirei la notte se avessi chiesto quattro anni per un innocente». Partendo dall’assunto che «non esiste contaminazione» e quindi «il fatto non sussiste», ripetono a più voci i vari legali, le richieste dell’accusa sono stilate «in modo non coerente al tipo di reato», attacca Palazzo.
L’avvocato parla anche delle accuse velate secondo le quali durante il periodo di sequestro dell’edificio 2 della Cittadella, tra il 2008 e il 2009, sarebbe stata lasciata aperta una finestra per far circolare l’aria e attenuare la contaminazione ipotizzata. «Possiamo pensare che anche due o tre finestre aperte possano modificare e rendere salubre lo scenario dipinto dal pm?», chiede Fabio Palazzo. Dopo la chiusura durata quasi un anno «l’aria interna nei laboratori era simile a quella esterna», afferma Attilio Floresta, avvocato di Mannino. Il dirigente, tutt’oggi in servizio all’ateneo, è accusato di aver ingannato il Consiglio d’amministrazione dell’Università giustificando i lavori di rifacimento dell’impianto fognario come necessari per risolvere la risalita d’umidità, tacendo sugli sversamenti e le altre problematiche relative a odori e malori. La nota che autorizza i lavori «è ideologicamente verissima» poiché «non esiste alcuni dei reati contestati». E, sottolinea Floresta, «l’ufficio tecnico, di sua iniziativa, non ha poteri per prendere decisioni».
La prossima udienza, il 4 luglio, vedrà protagonisti accusa e parti civili per le ultimissime repliche. Il 17 ottobre, invece, toccherà alle accuse e arriverà – due anni e mezzo dopo l’avvio del processo – la sentenza.