Evidence: quando il Grande Fratello è Dumbo

Qual è il vostro film horror preferito? Il mio è intitolato “Evidence” e dura poco meno di 8 minuti. Girato da Godfrey Reggio, nel 1995 a Roma, nell’ambito del progetto Fabrica, questo corto testimonia le reazioni fisiche di otto bambini tra i tre e i sei anni mentre guardano alla televisione il film della Disney “Dumbo”.
La narrazione, pur non seguendo uno sviluppo classico (solo alla fine del corto si dirà che i bambini stavano guardando la TV) è semplice: si parte con il titolo che frigge nei pixel di un televisore e poi si passa a dei particolari del viso dei bambini. Si vedono sorrisi, palpebre che si chiudono e si riaprono, poi nella pupilla di uno dei piccoli appare la luce azzurra di un apparecchio televisivo acceso.
La telecamera passa ad effettuare una carrellata di primi piani che occuperanno gran parte del filmato: gli occhi dei bambini sono rapiti dalle immagini, fissi, il respiro rallenta fino a sembrare quasi assente, la bocca si spalanca, l’espressione tutta dei piccoli diventa subumana, simile a quella degli alienati ricoverati in un reparto psichiatrico. Presto i protagonisti perdono ogni connotazione
legata alla loro età ed alla loro condizione: potrebbero essere degli ottantenni o delle scimmie; solo di tanto in tanto qualche movimento involontario dei muscoli facciali interrompe il loro inebetimento.
Da inquietante, la visione diviene presto insostenibile. Sembra di assistere in diretta ad una autopsia o, meglio, ad una lobotomizzazione dove la mente, il respiro, la volontà dell’oggetto è sotto il controllo potente di una forza esterna che ne ha divorato l’umanità.
Bambini come vegetali che fotosintetizzano assorbendo la luminosità che esce dal tubo catodico.
Ad accrescere l’angoscia la musica ripetitiva di Philip Glass che, come negli altri lavori di Reggio, si assume il ruolo di spiegare quanto viene mostrato per immagini, con una funzione di co – regia
che non è lontana dall’uso della colonna sonora in molti film di Stanley Kubrick.
“Evidence” finisce col lasciarci un senso di pena profondo, indugiando ancora sui particolari dei visi stravolti dei bimbi, suggerendoci come unica soluzione al disagio quella di spegnere
definitivamente l’apparecchio televisivo.
Il messaggio, oltre a ribaltare l’uso dei bambini che il mondo della comunicazione televisiva attua, è molto chiaro, radicale e, mi sembra, rivoluzionario: la tecnologia, in questo caso esemplificata
dalla TV, non è un mezzo come si tende solitamente a pensare (e quindi non è neutrale), ma un ambiente e come tale dispone del soggetto e delle sue intenzioni, comporta mutamenti antropologici,
modifica il modo d’essere dell’uomo nel mondo e ne prefigura i
comportamenti.
I fini che questo nuovo ambiente artificiale tende a costituire rispondono a leggi di permanenza e di evoluzione autonome da intenzioni di altra natura (politica, sociale, culturale ecc.). Questo sembra dirci nella sua brevità “Evidence”: oggi sono messi in dubbio i tre ambiti fondanti della dimensione antropologica: la conoscenza (e quindi la comunicazione) , l’affettività , la libertà.
L’Uomo non è niente di più che un esperimento su cui esercitare un controllo ossessivo, come avveniva in “1984” o in “Fahrenheit 451”.
“Evidence”, per quel che mi risulta, non è stato mai pubblicato in DVD, nemmeno come contenuto speciale della trilogia “Qatsy” che ha fatto conoscere al mondo il nome di Reggio.
È possibile però visionarlo su Yuotube: www.youtube. com/watch? v=vuI_nCADnW0
nello stesso contenitore virtuale dove lolite quattordicenni si sfilano la biancheria intima e studenti neoprimitivi devastano come forsennati le aule scolastiche.
“Evidence” ha fatto e fa meno notizia di loro, eppure, stranamente, ne è una chiave interpretativa tra le più centrate ed efficaci.


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