Nel suo passato il movimento studentesco e la candidatura a sindaco di Catania. Il leader di Catania bene comune spiega a MeridioNews le ragioni della discesa in campo. Parlando pure della scelta dell'ex alleato Claudio Fava di appoggiare Pietro Bartolo
Europee 2019, intervista a Matteo Iannitti (La Sinistra) «Subito salario minimo. Il Pd? Non è argine alle destre»
Il suo nome, piaccia o meno, resterà nella storia politica del capoluogo etneo per essere stato il più giovane candidato sindaco nella storia politica di Catania. Era il 2013 e il 24enne Matteo Iannitti scendeva in campo dopo l’esperienza nel movimento studentesco a livello universitario. Una posizione di rottura rispetto ai vecchi apparati, in aperto scontro con dei campioni di preferenze come Enzo Bianco e Raffaele Stancanelli. Iannitti, espressione della società civile e per anni tesserato di Rifondazione comunista, adesso tenta la corsa alle europee con la lista La Sinistra. In questa intervista a MeridioNews analizza i motivi della candidatura. Senza peli sulla lingua nei confronti del Partito democratico e, soprattutto, del presidente della commissione Antimafia Claudio Fava.
Perché Matteo Iannitti si candida al parlamento europeo?
«Si è deciso di comporre la lista non partendo dal ceto politico ma dalle esperienze e dalle proposte che c’erano sui territori. Come Catania Bene Comune avevamo già aderito al processo di costituzione di una coalizione di Sinistra e, quindi, abbiamo sentito il dovere di portare all’interno della campagna elettorale per le Europee le nostre battaglie. Che sono anche quelle del movimento antirazzista e di quello dei diritti civili».
Non è nuovo a candidature ma è chiaro che questa ha una dimensione diversa rispetto al suo impegno passato
«L’unica candidatura è stata quella a sindaco di Catania. Ma che chiaramente aveva connotati diversi: territoriale e dirompente, anche perché arrivava in un momento in cui io venivo dal movimento studentesco. Questa, invece, ha una maggiore forza sulla base di un lavoro collettivo fatto sul territorio di Catania e della Sicilia orientale»
Com’è andata fino a questo momento?
«C’è stata una bella aggregazione di storie che ci sono in giro per i territori: da Palermo a Sutera, passando per Agrigento e Francofonte. C’è una mobilitazione dal basso di tanti movimenti che si stanno impegnando in questa campagna elettorale. Forti del fatto che la Sinistra si presenta unita. Manca però una discussione collettiva su queste elezioni e gli spazi elettorali vuoti rendono l’idea. In molti pensano che bastano le comparsate nei talk-show televisivi per accaparrarsi i voti. Noi stiamo portando proposte e ricevendo istanze che provengono dal basso. Stiamo ponendo la questione del nostro no alla privatizzazione dell’aeroporto, ma anche i temi dell’agricoltura e dei diritti di chi lavora in questo settore. Senza dimenticare l’abbandono delle campagna e il lavoro nero, che riguarda italiani e migranti. C’è un grande entusiasmo. Un conto è dare risposte balbettanti come fa il Partito democratico che non può avere una voce credibile su questi temi. Altro discorso è trovare una Sinistra che offre un’offerta elettorale contro le derive securitarie della Lega».
Resta però la posizione di Claudio Fava a favore di Pietro Bartolo del Pd. Che lettura ha dato alla posizione di colui che è stato il candidato della Sinistra alle ultime regionali?
«Lui ha ribadito più volte, forse ipocritamente, che si trattava di una scelta personale. Noi prendiamo atto che il 99 per cento delle forze, che hanno composto la lista dei Cento passi alle ultime Regionali, stanno facendo campagna elettorale per la Sinistra e non si sognano, nemmeno per sbaglio, di andare a votare il Partito democratico. Io credo che la scelta di Fava pone la contraddizione tutta sul suo campo. Pensare che il presidente della commissione Antimafia possa votare il partito che ha avuto arresti eccellenti, anche per i rapporti di alcuni suoi esponenti con la mafia, è veramente fuori dal mondo. La sua rimane una scelta personale e incomprensibile».
Eppure Pietro Bartolo è il medico dei migranti. Ormai celebre nel mondo.
«Non è altro che una foglia di fico per coprire tutte le politiche, anche razziste, del Partito democratico. L’ex ministro Marco Minniti è venuto a Catania a vantarsi dell’operazione fatta con le tribù libiche che tengono prigionieri i migranti. Carlo Calenda, invece, continua a parlare di riduzione degli sbarchi. Ignorando però che è legata alla prigionia di migliaia di persone. Il Partito democratico non è l’argine alle destre ma è complice di tutte le politiche che ci sono state nei Comuni italiani».
Che idea ha di Europa? Sembra davvero lontana dalla vita quotidiana.
«La prima questione che stiamo ponendo è che questa Europa finge di farci credere di essere cittadini europei. In realtà ha generato diseguaglianze sociali. Siamo la seconda Regione più povera d’Europa con il 60 per cento di disoccupazione giovanile. Abbiamo anche il più alto tasso di analfabetismo in Italia. L’Europa è il campo dove si dovrebbe produrre una vera equità sociale, non mettendo al primo posto i vincoli finanziari. Si dovrebbero avere uguali diritti senza tenere conto del Paese dove si nasce. Non può esserci un’Europa unita senza un salario minimo europeo, che potrebbe bloccare anche le delocalizzazioni. La battaglia europeista che stiamo facendo è quella dei diritti uguali per tutti. Compreso il diritto d’asilo europeo e dei diritti civili per le persone omosessuali e transessuali».