Europa, perché l’euro non funziona

Abbiamo visto come fior di economisti avevano espresso in epoca non sospetta, e ben prima dell’istituzione dell’euro, la loro contrarietà a istituire la moneta unica (http://www.linksicilia.it/2012/09/leuro-non-tutti-erano-daccordo-anzi/). Questi economisti erano contrari soprattutto per un motivo: i Paesi che avrebbero dovuto aderire all’euro erano dei Paesi tra loro molto diversi con i “fondamentali” economici differenti. In questi casi, cioè quando le aree da unificare non sono omogenee, l’adozione della moneta unica, lungi dall’agevolare un’armonizzazione tra i Paesi, in realtà finisce con l’accrescere le differenze. (a destra, l’Eurozona, foto tratta da visual.ly)

Detto altrimenti, se l’Italia è meno competitiva della Germania, la moneta unica aumenterà il divario, contribuendo a rendere la differenza più marcata. Se la Grecia ha una produttività più bassa della Francia l’euro aiuterà a renderla ancora più bassa. Soprattutto, l’argomento principale, se l’indebitamento verso l’estero per alcuni Paesi è molto alto e per altri è più basso o addirittura inesistente, la moneta contribuirà, e qui in modo quasi decisivo, ad aumentare questa differenza. Gli economisti in questione si esprimevano basandosi su una domanda molto semplice: cosa succede quando Paesi differenti provano a darsi una moneta unica?

Già nel 1953 il famoso (famigerato?) Friedman sosteneva che nei sistemi in cui vigeva una rigidità del salario (cioè dove non potevi licenziare con facilità o precarizzare il lavoro) sarebbe stato meglio adottare una moneta diversa in modo che le oscillazioni del cambio potessero permettere sia un miglior equilibrio interno (disoccupazione molto bassa e prezzi stabili), sia un miglior equilibrio esterno. Se hai una moneta debole le tue importazioni tenderanno a diminuire e le tue esportazioni ad aumentare e quindi il tuo debito con l’estero diminuirà. Se ne deduce che se la moneta resta fissa, unica, se vuoi mantenere l’equilibrio devi agire sugli altri due termini del problema, licenziamenti e tassi di occupazione.

Nel 1961 Robert Mundell pubblica un articolo in cui descrive i vantaggi e gli svantaggi del “regime dei cambi”. Senza farla complicata (Mundell si riferisce ai cambi “fissi” e ai “cambi flessibili”) si tratta di capire cosa succedeva se, per esempio, Italia e Germania decidevano di abbandonare la loro moneta per farne una insieme. Italia e Germania producono macchine. Ne vendono 50 e 50. Ad un certo punto la Germania migliora il modo di produrre le macchine e comincia a venderne 60 facendo peggiorare le vendite dell’Italia, che scende a 40. E’ chiaro che se il trend continua, alla fine la Germania venderà 100 macchine e l’Italia nessuna. L’Italia riusciva ad evitare tutto questo perché, ad un certo punto, le macchine italiane diventavano più convenienti dal punto di vista economico. Svalutava. Tutto questo succede(va) perché le aree sono differenti e la moneta serviva anche ad evitare che queste differenze finissero con lo stroncare interi Paesi.

La Germania e l’Italia rimangono due entità separate. Hanno diverse capacità produttive, hanno diverse mobilità del lavoro, hanno diverse mobilità di capitali: in una parola, toh guarda, sono diverse. Queste differenze possono anche essere giudicate male. I tedeschi sono virtuosi, gli italiani no. Perfetto. Il problema è che i tedeschi e gli italiani, ad un certo punto, hanno deciso di collaborare, anzi addirittura di unirsi.

I tedeschi sapevano com’erano gli italiani. Gli italiani sapevano com’erano i tedeschi. Se ci si unisce, si fa un patto. Tu non svaluti più, in compenso noi condividiamo i nostri profitti. Il modo con cui si sarebbero dovuti condividere i profitti è astruso, riguardava lo stimolo della domanda interna, per intanto fidatevi, il vantaggio dato ai tedeschi in termini di blocco della svalutazione sarebbe stata ricompensata dall’aumento delle paghe degli operai tedeschi e quindi il prezzo delle macchine sarebbe stato ancora più alto di quelle italiane e ad un certo punto ci sarebbe stato un riequilibrio.

Per fare questo serviva collaborazione. Non competizione, collaborazione. Chiunque di voi capisce che se dobbiamo competere allora mi tengo le mie armi. Qui si è detto: togliti le tue armi, fattene di nuove che siano buone e giuste e competiamo. Come finisce una partita tra una squadra in cui sono tutti mediamente forti ed una a cui togli il fuoriclasse “svalutazione”? Finisce esattamente come è finita: che la Germania stravince. E l’Italia perde. Peccato che il patto non era quello. Il patto era che si cresceva insieme.

Torniamo al nostro Mundell. Che ci diceva: prendiamo gli USA. Lì ci sono 51 Stati. Sono ovviamente differenti tra loro, quasi quanto la Germania e l’Italia, alcuni di più. Ma prendete anche il Canada. Anche lì, zone ricche e zone povere. Hanno tutti quanti la stessa moneta, il dollaro. Come mai funziona? Che c’entri qualcosa il fatto che le politiche fiscali si decidono a Washington e valgono per tutti? Che si può quindi decidere di trasferire ricchezza dalle zone ricche alle zone meno ricche dell’Unione? Risposta esatta!

Si è fatta l’Unione monetaria tralasciando il fatto che si trattava di zone differenti. Che l’Europa non è, repetita juvant: NON E’ un’area valutaria ottimale. E che quindi avrebbe prodotto ulteriori diseguaglianze. Una dimenticanza? Come abbiamo già visto, non è possibile, lo sapevano, tutti li avevano avvertiti. Anche un irlandese, Wynne Godley: “E’ incredibile che non ci sia un progetto di governo centrale… Se un Paese, una regione non ha alcun potere di svalutare, e se non può beneficiare di un sistema di trasferimenti fiscali che tendano ad eguagliare le condizioni, allora non c’è nulla che possa impedirgli di soffrire di un processo di declino cumulativo e definitivo che alla fine farà sì che l’emigrazione sia l’unica alternativa alla povertà e all’inedia.”

Ma allora il debito pubblico? La corruzione? L’evasione fiscale? Ne parleremo…

(fine seconda puntata/continua)

 


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