Etna, il monopolio sul vulcano al di là della retorica «Comodo» avere un privato che aiutava i Comuni

Si può scrivere di Etna senza cadere nella retorica delle occasioni perse e della Sicilia incapace di fare ricchezza delle proprie virtù naturali. Tenendo però ben chiaro che ciò significa andare a scavare in incrostazioni, consuetudini, equilibri di interessi e rendite di posizione che, per i più, sarebbero in realtà immutabili. Vero è che l'(in)azione di istituzioni e politica, sulla Montagna patrimonio Unesco, spesso si trasforma in una gabbia di immobilismo e incapacità amministrativa, degrado ambientale e inefficienza. Ma concentrarsi solo sulle debolezze dei governi a vario titolo non spiega il mancato decollo socio-economico di quel territorio a cui, retorica stavolta insegna, «non manca niente». L’inchiesta della procura di Catania, culminata nel coinvolgimento del re della funivia Francesco Russo Morosoli ha il merito di renderlo palese, anche al netto degli esiti giudiziari dell’operazione Aetna. E, inoltre, di restituire una fotografia del peso che detiene l’iniziativa privata nell’orientare la crescita delle comunità del vulcano. Un peso inquietante, purtroppo, quando la cronaca impone di declinarlo nella parola corruzione.

C’era voluto, ancora prima, un assist da fuori campo per smuovere il pantano. Il vero terremoto si abbatte sul monopolio del business del turismo dell’Etna grazie all’intervento dell’Autorità Antitrust. Sono le carte firmate da Giovanni Pitruzzella che rompono il tabù. Mettendo in fila quelle che, fino ad allora, erano teorie per qualcuno azzardate oppure, ancora peggio, questioni meno che provinciali. Il mercato libero sull’Etna non esiste, scriveva di fatto il Garante, e ciò in forza di un’ingombrante presenza imprenditoriale e di amministrazioni locali quantomeno superficiali se non, come da accusa, in malafede. E comunque, anche passato il 2016, scrivere di Etna concentrandosi sulla battaglia in atto per mantenere lo status quo – un circuito ristretto di pochi e costosissimi servizi – è rimasta materia assai specialistica

Del resto, nel ginepraio di competenze sparpagliate fra Comuni, Parco e non solo, investimenti pubblici col contagocce ed emergenze che non lo sono, non è facile districarsi. E così la forza del vulcano, la sua naturale complessità, diventa quasi l’alibi per lasciare campo libero alle soluzioni facili. Ecco perché, spiega la giudice Giuliana Sammartino, non solo i sindaci ma persino la prefettura di Catania – chiamata suo malgrado ad occuparsi di rischi e sicurezza – «trovavano ‘comodo’ avvalersi di un forte operatore economico che si faceva talvolta carico di costi altrimenti gravanti sui Comuni, più che cercare un’alternativa attraverso complesse procedure di scelta del contraente». L’assenza di libera concorrenza, come ricorda l’Antitrust, si traduceva «in affidamenti inerziali all’operatore storico» in realtà da superare per «contribuire allo sviluppo turistico-ricettivo della zona». Una intercettazione viene citata, nell’ordinanza, «a conferma del sostegno delle comunità locali al monopolio Russo Morosoli». Il faccendiere Salvo Di Franco spiega al suo capo: «Un buon 70 per cento della popolazione è dispiaciuta per loro che non c’è più la Star (..) perché sanno che siamo l’unica società che ha i mezzi e l’organizzazione per fare un certo tipo di lavoro». Riflessione che arriva quando si concretizza la ritirata dal versante nord del gruppo Russo Morosoli, una volta saltato il regime autorizzatorio del 2017 e ormai fattasi avanti l’ati Etna Alcantara mobilitylegata a doppio filo a un’altra ingombrante presenza, stavolta politica: Cettino Bellia, l’ex presidente del Parco dell’Etna anche lui fra gli indagati. 

Toccherà a quelle stesse comunità locali trovare una via d’uscita dall’impasse. A nord il project financing delle belle speranze esce in un modo o nell’altro a pezzi dall’inchiesta. E d’altro canto la soluzione degli appalti provvisori delle escursioni si è (ri)mostrata in tutta la sua fallacia. Anche la funivia del versante sud, in realtà, dovrà confrontarsi con procedure trasparenti che Russo Morosoli, secondo l’accusa, voleva allontanare elargendo 150mila euro di sponsorizzazioni al Comune di Nicolosi. A quel sistema istituzionale ripiegato su stesso, che pare aver rinunciato alla responsabilità del futuro, toccherà decidere. 


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