Pietro Liga, arrestato nel maggio 2013 nell'operazione "Argo" e condannato, in via definitiva, per estorsione come esponente della famiglia mafiosa di Bagheria, avrebbe ritenuto lesive della sua dignità di uomo d'onore alcune dichiarazioni fatte dalla sua vittima e intercettate dagli investigatori. Come "risarcimento danni" le avrebbe chiesto 20mila euro. Guarda il video
“Estorsione d’onore” tra boss in carcere In manette anche moglie e figlia detenuto
Estorsione tra boss per questioni d’onore. C’è anche questo nelle nuove dinamiche di Cosa nostra su cui i carabinieri della Compagnia di Bagheria (Palermo) hanno fatto luce. I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Pietro Liga, 49 anni, detenuto nel carcere di Tolmezzo (Udine) dopo il suo arresto nel maggio 2013 nell’ambito dell’operazione “Argo” e successivamente condannato, in via definitiva, a 10 anni e 6 mesi di reclusione per estorsione come esponente della famiglia mafiosa di Bagheria. Le manette sono scattate anche per la moglie Rosa Costantino, 52 anni, e la figlia Maria Liga, 25 anni, finite entrambe ai domiciliari. L’accusa per tutti è di tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso.
Le indagini, coordinate dai pm della Dda di Palermo, Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli, e sviluppate attraverso complesse attività tecniche e servizi di osservazione a distanza, hanno permesso di far luce su «numerosi episodi estorsivi perpetrati, dal mese di agosto ad ottobre 2014», nei confronti di un detenuto per fatti di mafia nel braccio Libeccio del carcere Pagliarelli e della moglie. In particolare, è la ricostruzione degli investigatori dell’Arma, Liga si sarebbe risentito per alcune dichiarazioni fatte dalla vittima, arrestata nel 5 giugno del 2014 nell’ambito dell’operazione “Reset” con l’accusa, tra l’altro, di essere organica al mandamento mafioso di Bagheria.
Le frasi erano state intercettate dagli inquirenti ed erano confluite negli atti dell’operazione. Liga ne era venuto a conoscenza e aveva avvicinato nella cappella del carcere palermitano l’altro mafioso, contestandogli quelle parole ritenute lesive della sua dignità di uomo d’onore. Così a titolo di risarcimento danno aveva chiesto alla sua vittima 20mila euro, minacciando in caso di resistenza ritorsioni contro i familiari. Come nel classico copione degli esattori del pizzo di Cosa nostra, la richiesta era poi scesa fino ad arrivare a 2.500 euro. Della riscossione della somma si sarebbero dovute occupare la moglie e la figlia di Liga, che avevano tentato di avvicinare la consorte della vittima ripetutamente all’uscita dai colloqui con il marito al carcere Pagliarelli.