Martina Patti ha ricostruito agli inquirenti i contorni dell'infanticidio della figlia di quattro anni. Racconti costellati da molti «non ricordo». L'arma del delitto non è ancora stata trovata, il luogo non è stato definito e si indaga su eventuali complici
«Ero girata e non volevo guardare», così è stata uccisa Elena Madre: «Quando siamo uscite, ha fatto capricci per i giochi»
«Ero girata e non volevo guardare». È così che la 23enne Martina Patti ha descritto il momento in cui ha colpito la figlia Elena con «una cosa lunga tipo un coltello». Dopo avere denunciato ai carabinieri un falso rapimento della bambina di quattro anni da parte di uomini incappucciati, armati e con i guanti, la donna ha confessato quando è stata messa di fronte alle immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona e all’evidenza che quella scena non era esistita. Da quel momento, ha cominciato a ricostruire agli inquirenti la vicenda costellata da molti «non ricordo». «Ho l’immagine del coltello ma non ricordo assolutamente dove l’ho preso e nemmeno dove l’ho messo […] Non ricordo di avere fatto del male alla bambina – continua la donna (classe 1998) che si trova in isolamento in carcere, sorvegliata a vista, accusata di omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere – Non ricordo di avere sotterrato la bambina ma sicuramente sono stata io. […] Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa. Avevo una forza che non avevo mai percepito prima, la bambina forse era ferma ma ho un ricordo molto annebbiato».
L’arma del delitto non è ancora stata ritrovata e anche sul luogo si sta ancora indagando: l’auto e l’appartamento dove vivevano a Mascalucia sono stati esclusi, la madre sostiene che sia avvenuto nel terreno a poche centinaia di metri da casa dove lei stessa ha fatto ritrovare il corpo senza vita della figlia, ma la giudice per le indagini preliminari Daniela Monaco Crea mette nero su bianco che «non sono state rinvenute tracce ematiche compatibili con la scena del crimine, a eccezione di quelle repertate all’interno dei sacchi». Quelli (cinque) neri di plastica che si usano solitamente per la spazzatura all’interno dei quali è stato ritrovato il cadavere della bambina. «Ricordo che ho portato Elena in un campo e le ho fatto del male […] Era la prima volta che la portavo lì, io c’ero stata da sola o con mio zio per coltivare asparagi. Ricordo solo di avere pianto tanto, forse ho capito che era morta e non sapevo cosa fare. Ero molto confusa e quello che era successo non mi sembrava reale». Il corpo senza vita della bimba è stato trovato parzialmente seppellito in una buca, con accanto una zappa e una pala da giardinaggio che la donna ricorda di avere preso «già di mattina prima di andare a prendere la bambina all’uscita di scuola». Cioè del grest estivo che Elena stava frequentando e dove la mattina l’aveva accompagnata la nonna paterna perché la sera prima aveva dormito a casa loro anche con il padre Alessandro Del Pozzo e la sua nuova compagna. Per gli inquirenti sarebbe proprio la «gelosia» nei confronti di quest’ultima il movente.
«Ritengo che Martina sia ancora coinvolta sentimentalmente dalla mia persona», ha dichiarato il suo ex compagno che ha definito «altalenante» il loro rapporto durato circa sei anni e interrotto per sua volontà ad aprile. Anche lei avrebbe una «simpatia particolare» per un ragazzo ma ha precisato che «non ho una relazione sentimentale. Sto cercando di rifarmi una vita, frequento amici, vado a feste». Già laureata in Scienze motorie, la 23enne è laureanda in Infermieristica. Proprio la mattina dell’infanticidio aveva ricevuto l’esito negativo di un esame universitario. Secondo la ricostruzione che lei stessa ha fatto agli inquirenti, sarebbe andata a prendere Elena intorno alle 13. Tornate a casa, mentre lei stira, la bambina guarda i cartoni animati dal suo cellulare e mangia un budino al cioccolato. Alle 14.30 sarebbero uscite dirette a casa della nonna materna; da lì, insieme, sarebbero dovute andare alla festa per l’onomastico di un amico di famiglia. «Una volta uscite – ha dichiarato la donna – Elena ha cominciato a fare i capricci per dei giochi che erano a casa […] Da ottobre soffre di tosse persistente che si acuisce quando piange o si affatica, motivo per il quale tutti noi in famiglia la assecondiamo». Nel racconto di Patti, anche se erano arrivate sotto casa della madre, lei fa marcia indietro e torna e casa prendere i giocattoli. Colori, palle e pupazzi.
Sono le 16 quando, accompagnata dalla suocera e dal padre, si presenta alla caserma dei carabinieri per denunciare il rapimento della figlia. «Me l’ammazzano…me l’ammazzano», ripete di continuo in forte stato di agitazione e racconta del finto rapimento, riportando anche delle frasi che avrebbero pronunciato gli aggressori («A te non ti facciamo niente, ma la bambina la ammazziamo, non la rivedrai più. Questo è per tuo marito») che avrebbero fatto ricondurre l’evento al padre della bambina e a un biglietto anonimo di minacce che Del Pozzo avrebbe ritrovato tempo prima nella cassetta della posta di casa dei suoi genitori quando era passato dal carcere ai domiciliari con l’accusa di avere commesso una rapina, reato da cui poi è stato assolto. L’autopsia sul corpo di Elena ha rivelato che i colpi inferti con un’arma bianca sono stati almeno undici e che quella della bambina è stata «una morte lenta». La procura ha richiesto che vengano effettuati anche degli esami tossicologici per chiarire se la bimba sia stata stordita prima di essere ammazzata. E continuano le indagini anche per individuare l’eventuale complicità di altre persone. Intanto domani pomeriggio nella Cattedrale di Catania ci saranno i funerali che la diocesi ha deciso di trasmettere anche in diretta nei canali di Youtube e di Facebook.