Il vescovo avrebbe omesso ogni seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità. È questo il riassunto delle motivazioni della sentenza che, lo scorso 5 marzo, ha disposto in primo grado – con il rito abbreviato – la condanna a quattro anni e sei mesi per il sacerdote Giuseppe Rugolo: l’accusa era violenza sessuale aggravata a danno di minori. Nelle motivazioni della sentenza si legge che «la curia – nella persona del vescovo – ometteva con ogni evidenza qualsivoglia, seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori, nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell’ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione».
Le motivazioni della sentenza, previste per il 5 giugno, arrivano dopo 137 giorni, ma confermano l’impianto accusatorio che la procura di Enna ha sostenuto contro Rugolo. Più di 200 pagine dalle quali emerge con chiarezza che la vittima – che ha denunciato – «ha mostrato particolare lucidità, coerenza e logicità, offrendo un’articolata e originale narrazione in termini congrui rispetto ai fattori spazio-temporali in cui i fatti denunciati vanno necessariamente collocati». La vittima, quindi, è stata ritenuta credibile, così come anche gli altri giovani, per i quali il tribunale ha accertato la violenza sessuale mentre ancora erano minorenni.
Secondo il collegio giudicante, Rosario Gisana – vescovo di Piazza Armerina, in provincia di Enna – con il suo comportamento avrebbe facilitato gli abusi perpetrati dal sacerdote. Nelle motivazioni della sentenza si legge anche che «la condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo». Ora le parti hanno 45 giorni per proporre un eventuale appello.
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