Una «grave e consolidata incapacità sistemica». Con criticità «programmatoria e gestionale di gran lunga più marcata di altre regioni». È l’impietoso giudizio arrivato, come regalo di Natale, dalla Corte dei Conti alla Regione Siciliana sulla gestione dell’emergenza idrica sull’Isola. «Criticità strutturali maturate in oltre vent’anni», risponde subito il presidente Renato Schifani, nonché commissario per l’emergenza. […]
Emergenza idrica, la Corte dei Conti bacchetta Schifani: ritardi, concessioni svendute e dissalatori antieconomici
Una «grave e consolidata incapacità sistemica». Con criticità «programmatoria e gestionale di gran lunga più marcata di altre regioni». È l’impietoso giudizio arrivato, come regalo di Natale, dalla Corte dei Conti alla Regione Siciliana sulla gestione dell’emergenza idrica sull’Isola. «Criticità strutturali maturate in oltre vent’anni», risponde subito il presidente Renato Schifani, nonché commissario per l’emergenza. Sciorinando numeri e interventi del suo governo. Peccato che, nelle oltre 300 pagine di relazione dei giudici contabili, si trovino molti rilievi proprio alla gestione attuale. Dalla governance alle concessioni regalate – che necessitano più volontà politica che disponibilità economica -, passando per la valutazione costi-benefici dei dissalatori. Un’istruttoria durata un anno e che, alla fine, segnala «gravi inefficienze già accertate per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti». Altro settore di cui il governatore è commissario straordinario.
I ritardi della Regione siciliana

Pur non nascondendo le criticità strutturali di dighe e invasi, ereditate e aggravate negli anni, i giudici contabili si concentrano su quanto è possibile fare nel breve periodo. E, spesso, avrebbe dovuto essere già fatto. Come la dichiarazione dello stato di emergenza idrica: emessa dal governo, secondo la Corte dei conti, con un anno di ritardo. «Nonostante i promemoria sull’aggravamento dello stato di severità idrica inviati alla presidenza della Regione siciliana», a partire da marzo 2023, «soltanto nel 2024 la giunta regionale ha adottato i conseguenti atti deliberativi», ricordano i togati. Ma non solo: a essere indagati dai giudici sono i rapporti tra la moltitudine di uffici e strutture, mai snellita.
La gestione commissariale
Come gli Ato, divisi per province in Sicilia, anziché in «bacini idrografici, come accade nella maggiore parte delle regioni italiane». L’obiettivo dovrebbe essere fare «chiarezza e trasparenza amministrativa». Ed evitare un rischio: che il sistema emergenziale diventi «una copertura permanente e di lungo periodo delle gravi inefficienze» del sistema ordinario. Una pezza al buco, insomma. E non si sa neanche di che tipo, considerato che l‘ultima relazione disponibile di un commissario per l’emergenza idrica risale al 2000. Tragicomica la spiegazione della Regione ai giudici sulla mancanza: «La documentazione risulterebbe deteriorata a seguito di un allagamento dell’archivio». Ironia della sorte.
Concessioni vecchie e svendute
C’è poi l’aspetto economico. Fatto di concessioni idriche vecchie, andate avanti a proroghe. «Senza che sia stata avvertita la necessità di riesaminare e aggiornare le condizioni, compresi i canoni – spiegano i giudici – o l’apertura al mercato e alla concorrenza». Con risultati non da poco considerato che, secondo i calcoli della Corte, l’importo delle concessioni idriche siciliane ai grandi gruppi «dovrebbe essere rivalutato di ben oltre il 500 per cento». Passando, per le sole concessioni idroelettriche, dagli attuali poco più di 500mila euro incassati dalla Regione a oltre 2,5 milioni. Una situazione che non migliora se si guarda alle utenze sui territori e alla capacità di riscossione. «Si stima che il 75 per cento dell’acqua immessa in rete in Sicilia non venga pagata – si legge -. A causa di perdite fisiche (circa 50%), perdite amministrative (5-15% per allacci abusivi o utenze senza contatori) e una morosità molto elevata (25-55%)».
La scelta antieconomica dei dissalatori
«Abbiamo già attivato tre dissalatori, pienamente operativi, e ne abbiamo programmati altri due a Palermo», sottolinea il presidente Schifani in risposta al documento della Corte. Quello che non dice, però, è che proprio questa scelta è contestata dai giudici nella relazione. Scrivendo di «palesi indicatori della diseconomicità dei costi di gestione, nel raffronto tra la produzione della risorsa idrica tramite i nuovi dissalatori e i fabbisogni dei rispettivi territori (Porto Empedocle, Gela, Trapani)». Gestione per cui è prevista una spesa di 32 milioni di euro all’anno, ma senza «una relazione tecnica che documenti e giustifichi i costi dei dissalatori a regime», aggiungono. Ai giudici, insomma, non risulta che i dissalatori siano più economici ed efficienti di altri metodi: come «un maggior efficientamento delle reti di distribuzione, nonché dei pozzi e degli invasi esistenti».