Emanuela Sansone, prima donna vittima di mafia Uccisa a 17 anni e poi cancellata dalla memoria

«Ricordati di ricordare coloro che caddero lottando per costruire un’altra storia e un’altra terra. Ricordali uno per uno perché il silenzio non chiuda per sempre la bocca dei morti e dove non è arrivata la giustizia arrivi la memoria e sia più forte della polvere e della complicità». Con queste parole della sua poesia Ricordati di ricordare, Umberto Santino inizia il lungo elenco delle vittime di mafia sul sito del Centro Siciliano di documentazione Giuseppe Impastato. Una lista che porta con sé il ricordo, uno per uno, di tutti i caduti per mano di Cosa nostra. Il dito che scorre si ferma quasi subito, al 1896, quando venne uccisa a Palermo Emanuela Sansone, la prima donna vittima delle mafie. 

Di lei ormai restano tracce quasi esclusivamente tra i documenti del centro diretto da Santino, su un vecchio articolo di giornale e sulle pagine del dossier Sdisonorate, che raccoglie storie di donne uccise dalle mafie. Una vittima dimenticata con il passare degli anni. Pochi sono quelli che si ricordano della 17enne uccisa. È la figlia della bettoliera Giuseppa Di Sano. La ammazzano due giorni dopo Natale, il 27 dicembre. Probabilmente si tratta di una ritorsione: «I mafiosi, come emerge dal rapporto del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi, sospettano che la madre li abbia denunciati per fabbricazione di banconote false – riporta il dossier curato dall’associazione antimafie daSud. Dopo l’omicidio, la madre di Emanuela collabora con la giustizia: «uno dei primi esempi del ruolo positivo delle donne, troppo spesso ignorato e dimenticato»

Perché ci si dimentica delle donne anche quando sono vittime della mafia? Anche quando potrebbero costituire un esempio positivo da trasmettere alle nuove generazioni? «Per lo stesso motivo per cui vige un sistema di patriarcato nella nostra società cosiddetta civile  – sottolinea Laura Triumbari dell’associazione daSud  –  I problemi di genere esistono anche all’interno delle mafie che sono lo specchio della società civile. Quello che non toccano donne e bambini, ad esempio, è un cliché». Le donne, aggiunge Triumbari, «vivono ai margini. Noi per realizzare il dossier Sdisonorate abbiamo avuto difficoltà a reperire informazioni su donne ammazzate anche nel 1995, figuriamoci all’epoca di Emanuela Sansone. Senza contare il sistema penale che vigeva all’epoca dove ammazzare una donna era anche più facile». Spesso sono «i parenti prossimi a raccontare che è scappata con una persona o che si è ammazzata da sola oppure – conclude –  che era pazza.Vengono raccontate come delle pazze».

Stefania Brusca

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