Ecomafie/ La Sicilia al secondo posto in Italia nella gestione truffaldina dei rifiuti e delle discariche

SIAMO SECONDI SOLO ALLA CAMPANIA. CON IL ‘RAPPORTO ECOMAFIE 2013 DI LEGAMBIENTE’ SCOPRIAMO CHE, ORMAI, GRAZIE A CONNIVENZE E A UNA FINTA ANTIMAFIA, LA NOSTRA ISOLA INSIDIA IL ‘PRIMATO’ A NAPOLI E DINTORNI…

Da Ctzen-la nuova generazione di news made in Catania – ricaviamo le notizie sulle ecomafie, a loro volta ricavate dal ‘Rapporto ecomafie 2013 di Legambiente – Storia e numeri della criminalità ambientale”. Ed apprendiamo la non invidiabile notizia che, finalmente, in materia di infrazioni nella raccolta e nello smaltimento illecito di rifiuti la Sicilia, ha conquistato la seconda posizione nella graduatoria nazionale dei territori più inquinati, superando la Calabria, ponendosi a ridosso immediato della Regione Campana. Complimenti!

La percentuale delle infrazioni che consente questo sorpasso è dell’11,8 per cento, con 34 mila casi accertati, dei quali detiene il primato dei delitti contro la fauna e si colloca nei primissimi posti per incendi dolosi, ciclo del cemento e, appunto, nel settore dei rifiuti.

Un passo della relazione di Legambiente è illuminante: “Ancora una volta, com’è accaduto per le energie rinnovabili si cerca di cannibalizzare un nuovo e promettente segmento economico per accumulare profitti illeciti, o evitare penali nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi”. Di questi fatti la Magistratura ne ha individuati due nei centri gestiti da Kalat ambiente e molti altri nei Comuni catanesi della costa ionica, mediante l‘Operazione ‘Nuova Jonia’. Questa operazione che ha coinvolto i 14 Comuni dell’Ato 1 di Catania ha portato all’arresto di 27 amministratori e 16 impiegati. Costoro, in combutta con Aimeri ambiente, facevano arricchire il clan Centorino di Calatabiano con la nettezza urbana in cambio di posti di lavoro.

Il business delle ecomafie spazia dal ciclo del cemento alle agromafie, dagli incendi boschivi ai massacri della fauna e alla spazzatura. Il core-business però resta la raccolta e la gestione delle discariche dei rifiuti di ogni genere, specialmente di quelli tossici e pericolosamente inquinanti. Anzi, più inquinanti sono, più ricchi sono i vantaggi economici. E questo lucroso affare richiama sempre più clan ad interessarsene ed il fenomeno che, in un primo tempo, era stato scoperto nei Comuni del Catanese, adesso è riscontrabile in quasi tutte le contrade siciliane. E lo ‘sgubbo’ relativo ha raggiunto, secondo le più recenti stime, il ragguardevole montante di 16,7 miliardi di euro. Scusate se è poco!

L’affaire combinato della raccolta dei rifiuti abbinata alla gestione delle discariche ha contagiato anche la proliferazione, in Sicilia, di imprese che operano in questo settore: imprese non necessariamente mafiose. Addirittura i titolari di imprese operanti in questo comparto fanno carriera nelle grandi organizzazioni professionali e di categoria, raggiungendone i vertici rappresentativi. E’ in caso di Confindustria Sicilia e del suo vice presidente, Giuseppe Catanzaro.

Nell’Agrigentino, per esempio, le ditte Sap di Catanzaro, la Iseda e la Seap del cugino dell’onorevole Angelino Alfano si sono assicurati appalti in materia di raccolta e gestione delle discariche per rifiuti solidi urbani di numerosi Comuni, per importi superiori ai due miliardi di euro. Il tutto senza gara d’appalto. Infatti, da almeno sei anni non si celebrano gare per l’affidamento del servizio di raccolta e discarica dei rifiuti. E la legalità che fine ha fatto?

A questo punto una noticina a margine non ci sembra proprio fuori luogo e riguarda Confindustria Sicilia. Ci domandiamo quale interpretazione danno i soci di questa organizzazione alla parola industria. Se l’accezione originaria, dal latino. Che individuava nel termine industria ogni genere di intrapresa che avesse finalità economica, ovvero la specificazione semantica corrispondente alla comparsa della forma di produzione chiamata in Gran Bretagna factory system, da cui per successive approssimazioni si è addivenuti alla concezione dell’industria quale attività manifatturiera.

Noi pensiamo che Confindustria Sicilia si rifaccia all’interpretazione classica in quanto di manifatturiero, nelle aziende associate, ci dispiace sottolinearlo, c’è ben poco. Mentre sono diffusissime le imprese operanti nel campo dei servizi e del commercio all’ingrosso. Il nostro augurio è che si converta al più presto all’interpretazione più moderna di factory system. Ne trarrebbe vantaggio tutta l’economia siciliana e il suo sviluppo economico.

Da qualche parte si osserverà che quest’ultimo argomento non c’entra con il tema centrale delle precedenti note. Non è così. Lo sviluppo civile della Sicilia passa anche per il suo sviluppo economico e culturale. Se in economia ci si adagia sulle pratiche parassitarie di stampo mafioso di questo cancro non ci libereremo mai.

 


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