Eco-villaggio incompiuto a Belpasso, parla il progettista «Politica preserva l’esistente e blocca il cambiamento»

Preservare la tradizione e l’ambiente in un’ottica innovativa e sostenibile. Mentre tutta Europa punta a questo obiettivo con progetti e finanziamenti, a Belpasso l’idea di un eco-villaggio in località Ciappe – con strutture residenziali, commerciali e culturali – finisce al centro di una lunga controversia burocratica, che da 13 anni non accenna a risolversi. La storia tocca annose questioni che coinvolgono molte amministrazioni comunali siciliane, piccole e grandi: a partire dai piani regolatori spesso antiquati, che ormai non rispondono più alle esigenze della vita moderna in termini di servizi o che, altre volte, non prevedono nemmeno uno spiraglio di vivibilità. Ma non solo. Secondo Enzo Victorio Bellia, ingegnere argentino di origini belpassesi, progettista dell’eco-villaggio nonché proprietario di alcuni dei terreni interessati, la vicenda diventerebbe sintomatica del mancato sviluppo siciliano.

Partiamo dal progetto. Esperienze di eco-villaggi, nel resto d’Italia, non mancano. A volte sono stati anche la soluzione a problemi condivisi, come la perdita della casa dopo il terremoto de L’Aquila. Cos’ha di innovativo questo progetto?
«Noi puntiamo all’autosufficienza energetica. L’idea è di utilizzare tutte le fonti rinnovabili locali, a partire dal vento e dal sole con l’eolico e il fotovoltaico ma, se possibile, anche il calore del terreno con l’energia geotermica, e l’idrogeno verde, l’energia del futuro che vede l’Italia all’avanguardia. Si tratta dell’idrogeno estratto non dalle rocce, ma dalle acque che vengono scaricate, poi fitodepurate e trattate per estrarre e produrre energia pulita che andrà convogliata in batterie per alimentare l’eco-villaggio». 

Un sistema moderno e, per certi versi, avveniristico. Come si integrerà con l’obiettivo di preservare le tradizioni locali?
«Il progetto prevede di ridare vita all’artigianato locale, a partire dall’uso di materie prime tradizionali della zona, come il legno di castagno dell’Etna. È una scelta che si fonda su una convinzione: non possiamo diventare tutti ingegneri e architetti e dimenticare che sono stati gli artigiani, con la loro operatività manuale e creatività, il vero motore del miracolo economico italiano. Per questo, oltre alle unità residenziali, sono previste delle attività economiche che daranno lavoro e visibilità agli artigiani locali, ma anche alle start-up orientate all’uso delle risorse del territorio. Un’occasione, soprattutto per i giovani, di restare e lavorare in Sicilia anziché essere costretti a emigrare».

L’emigrazione fa parte della sua storia familiare e personale. Quanto ha inciso su alcune idee inserite nel progetto?
«Beh, parecchio, perché ho previsto anche un centro di documentazione proprio sull’emigrazione belpassese e uno specifico sui desaparecidos argentini, miei connazionali che non hanno fatto una bella fine. Credo che oggi, quando vediamo il diverso e ci fa paura, dovremmo ricordarci che una volta il diverso era l’italiano, il siciliano, il belpassese. Quindi è bene rinfrescare la memoria ai cittadini per ricordare loro che, se si sfruttano gli stranieri in campagna, nell’edilizia o nel commercio, la stessa situazione l’hanno vissuta i propri parenti e antenati in altri Paesi. E non è certo stato positivo, né è mai stato un modo per migliorare la situazione economica, sociale e relazionale tra i popoli. Genera invece conflitti e alimenta le ragioni di chi vede un pericolo nella diversità di lingua, di colore o di religione».

Così come l’aspetto sociale del progetto affonda le radici nel suo vissuto, anche la scelta della bo-edilizia non è nuova nella sua carriera. Com’è andata altrove?
«Negli anni ’90, quando ho lanciato la bio-edilizia a Padova, sono riuscito a raccogliere tantissime assegnazioni di terreni. Nessuno mi conosceva, io andavo in giro a fare conferenze per i Comuni, davanti ad amministratori e cittadini, e così sono riuscito a realizzare in due mesi il primo eco-villaggio a Carbonera, in provincia di Treviso. Parliamo di 25mila metri cubi, un vero quartiere. Ho messo il plastico in vetrina in un’agenzia immobiliare e due imprenditori nemmeno trentenni l’hanno notato, acquistato il progetto e realizzato. Si dice che lì sono tutti razzisti e leghisti, ma io in Veneto sono stato riconosciuto per i meriti che ho, al di là della mia provenienza e della mia lingua. Sarebbe assurdo che nella terra dei miei genitori, sui terreni di mia proprietà, io non possa realizzare un intervento simile, a beneficio all’economia locale».

Che idea si è fatto dei motivi di questa odissea burocratica?
«Credo che il ritardo sia dovuto alla politica che mira a salvaguardare l’esistente e, così, impedisce un reale cambiamento. Senza dimenticare i limiti professionali di alcuni uffici comunali. Di fondo, credo sia dilagante un atteggiamento che io definisco protomafioso e che, attenzione, non ha nulla a che vedere con i reati. Si tratta piuttosto di un contesto sociale e culturale, di una mancata risposta delle istituzioni, che rende debole il rapporto e la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato e della sua organizzazione».

Per questo ha deciso di rivolgersi alla giustizia?
«Sul piano penale, ho intenzione di oppormi alla richiesta di archiviazione del magistrato. I miei sforzi però sono rivolti ad altro, al comitato di tutti i proprietari di zone bianche (quelle su cui è scaduta la possibilità di esproprio pubblico, ma mai riqualificate, ndr) che si sta costituendo per chiedere un risarcimento danni. Perché il Comune alla fine non ha espropriato i nostri terreni, riconoscendoci un indennizzo economico, ma da dieci anni non possiamo nemmeno utilizzarli nonostante ci paghiamo le tasse. Io credo nella legalità e per questo ho dato mandato a uno studio legale affinché analizzi le singole posizioni degli impiegati del Comune di Belpasso coinvolti nella vicenda. A questo tengo molto: noi non vogliamo agire contro l’ente, perché non vogliamo che gli eventuali danni di chi non ha compiuto il proprio dovere ricadano sulle tasche già martoriate della collettività».


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