Aveva chiesto l'autorizzazione a partire all'Asp di Enna, dove lavora, circa un mese e mezzo fa. Prima dell'Africa era già stato in Kurdistan, volontario con l'associazione di Gino Strada. «Mio marito ci ha detto di stare tranquilli, che sta bene e che tutto si risolverà per il meglio», spiega la moglie. E' stato ricoverato allo Spallanzani di Roma
Ebola, è catanese il medico contagiato in Sierra Leone Prestava servizio all’ospedale di Emergency
E’ di Catania e lavora all’ospedale Umberto I di Enna, nel reparto di malattie infettive, il medico contagiato dall’ebola mentre prestava servizio volontario nel centro di Emergency a Lakkra, in Sierra Leone. E’ il primo italiano a essere colpito dal virus, che, secondo i dati della stessa associazione, soltanto nel Paese africano contagia 100 persone al giorno: i malati sarebbero 5mila.
Il medico è arrivato stamattina alle 6 all’aeroporto di Pratica di Mare ed è stato immediatamente trasferito e ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma, centro specializzato per la cura delle malattie infettive. «Aveva chiesto l’autorizzazione a partire e nonostante l’organico non fosse a pieno regime l’abbiamo vistata vista la nobile causa alla base della domanda: andare in una zona difficile dove serviva un esperto di malattie infettive», ha spiegato il direttore dell’Asp di Enna, Emanuele Cassarà, secondo cui «le condizioni del collega non sono gravi, anche se resta una grande apprensione».
L’uomo, 50 anni, laureato all’Università di Catania e specialista in infettivologia, è sposato e ha due figlie, con le quali ha parlato prima del ricovero. «Siamo rimaste a Enna con le mie figlie – ha dichiarato la moglie – perché incontrarlo non è possibile e perché vogliamo rimanere lontane dal clamore della stampa. Mio marito ci ha detto di stare tranquilli, che sta bene e che tutto si risolverà per il meglio – ha continuato la moglie ai microfoni del Tgr Sicilia – Non sono riuscita a parlarci direttamente, ma ha messaggiato a lungo con la figlia che ha voluto tranquillizzare. Vorrei sapere quando potrò andarlo a trovare. Con i ministeri della Salute e degli Esteri, così come dai vertici di Emergency, non abbiamo avuto contatti».
La sua missione con Emergency in Sierra Leone era iniziata un mese e mezzo fa e sarebbe dovuta finire il 28 novembre. Il medico non era mai stato in Africa, ma aveva lavorato già con l’associazione di Gino Strada in un ospedale nel Kurdistan. Sul suo profilo Facebook commenta con ironia il modo in cui veniva chiamato dai locali: «Oggi sono diventato Febo», scriveva a inizio novembre. Come immagine di copertina ha scelto una significativa vignetta di Vauro: «Allarme ebola in Occidente». Due uomini africani discutono: «E del fatto che moriamo di fame invece non gliene frega un cazzo?», chiede il primo. «La fame non è contagiosa,» risponde l’altro.
Lo staff di Emergency, tramite i suoi canali social, spiega che «tutto lo staff impiegato nel Centro di cura per i malati di ebola segue una formazione specifica sui protocolli di protezione per evitare il contagio e la diffusione del virus. Tuttavia, nessun intervento sanitario in un’epidemia così grave può essere considerato completamente privo di rischi. In Sierra Leone – continua – la situazione è drammatica: l’epidemia continua a espandersi con oltre 100 nuovi casi al giorno. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono oltre 5.000 i malati di Ebola nel Paese, ma i dati reali potrebbero essere molto più alti. Per rispetto della privacy del collega e della sua famiglia, per ora Emergency non rilascerà altre dichiarazioni».