Un chiodo piantato nel petto, Catania. «E’ difficile ti possa mancare». Lo ha detto Cesare Basile di recente e lo mostra ogni volta che ritorna a Catania con un disco da suonare. Lo mostra sì, nel taglio degli occhi quando sputa fuori con tutta la pancia A che serve lo zolfo? o quando sviluppa le fotografie della sua giovinezza catanese passata «a suonare fino all’alba sotto l’albero di giuda, che non c’è più, a piazza Umberto». A chi segue la sua parabola artistica da anni, manca un po’ la presenza di Cesare a Catania. Beccarlo le notti a sorseggiare in solitario la sua birra alla Chiave o, prima che lo chiudessero, al Taxi Driver. Confortava averlo lì a portata di mano, era il segno che uno come lui ce l’avevamo noi, solo noi. Nessuna città “del nord” ce l’avrebbe strappato via.
Oggi se n’è andato, frequenta altri bar, si aggira nelle notti di altre città, ma quando torna a Catania, il rigagnolo di sangue che cola da quel chiodo conficcato nel petto, pare sempre fresco. Lo era in gennaio quando ha letto il suo diario di viaggio “Nel ventre della balena” alla Cappella Bonajuto, luccicava rossissimo anche sabato sera alla sala Lomax nel suo live pre-pasquale. Un concerto che è stata la buona scusa per suonare con amici (il suo terzetto preferito Marcello Sorge alla batteria, Luca Recchia al basso, Marcello Caudullo alla chitarra) e tra amici: in mezzo al pubblico una buona fetta della Catania del rock, Uzeda, Tazio Iacobacci, Dog a Dog. Ed un concerto, quindi, che Cesare ha reso album di fotografie da sfogliare una ad una.
A partire dagli ultimi “scatti” di “Storia di Caino”, uscito l’anno scorso, dal quale ha suonato il blues A tutte ho chiesto meraviglia, la ballata d’amore All’unicino di un sogno e la pentecostale Storia di Caino, tutte sferzate dagli slanci elettrici di Cesare e dei randagi che lo seguono nel suo barcollare notturno. Fino agli altri momenti della sua quindicennale carriera come i pezzi dei due dischi della maturità Gran Calavera Elettrica – che ha inneggiato con Apocrifo e il Cantico dei tarantolati – e l’Hellequin Song di Dite al corvo che va tutto bene e Fratello gentile. Certo, come spesso accade, i sussulti più toccanti sono provocati dal ricordo del passato lontano. Qualche capello in più, qualche capello bianco in meno, forse del romanticismo scomparso come quell’albero a piazza Umberto «abbattuto da un camionista ubriaco». Le istantanee un po’ ingiallite sono quelle di Venere, Di schianto, La suonatrice di Hammond. In quest’ultima Cesare canta: Mi riinnamoro di te che sei il vizio precoce, una vita speciale, la corda feroce. Una lama nel petto – aggiungiamo noi – e un pensiero che non muore dedicato a Catania. Un amore doloroso, un chiodo fisso.
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