È la mano di un medico a porre fine alle sofferenze di Welby

Mario Riccio è il medico coraggioso che, ricordandosi che anche i malati hanno una dignità, ha eseguito la sedazione per via venosa e ha staccato il ventilatore polmonare che da 9 anni teneva in vita Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare progressiva che gli impediva qualsiasi movimento corporeo costringendolo a stare al letto.

Stanco di vivere Welby, attraverso un video appello diretto al presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, aveva chiesto la concessione di staccare la spina, ponendo fine alle sofferenze atroci a cui era condannato.

L’appello trova nella risposta di Napoletano profonda comprensione e l’auspicio di un dibattito parlamentare su questo tema.

Ecco allora uscire allo scoperto il perbenismo del popolo italiano, l’ipocrisia di chi cerca di strumentalizzare questa dolorosa vicenda o peggio di  chi parla e agisce come se il problema non sussistesse.

Così l’appello di Welby diventa un fatto di dominio pubblico, nessuno risparmia la propria perla di saggezza e pochi s’impegnano ad agire concretamente.

Sono i Radicali i più attivi nel portare avanti la volontà di quest’ uomo che vuole morire con dignità, che stanco di soffrire cerca consolazione nella morte, intesa alla maniera epicurea come fine di tutti i mali.   

Dal canto suo il Vaticano, sentendosi autorizzato a far sentire la propria voce, trova in Benedetto XVI un promotore della vita che va difesa fin dal suo concepimento e fino al suo termine naturale.

Ma è forse da considerare vita naturale quella prolungata oltre i limiti del dovuto con l’utilizzo di macchinari artificiali che espletano tutte le funzioni vitali?

Traslando questa situazione mezzo secolo fa, probabilmente, Welby sarebbe vissuto fino al reale termine naturale. Ma oggi i macchinari tengono in vita chi non ha più i requisiti biologici per vivere permettendo così all’assistenza medica, che tutti noi apprezziamo, di sfociare in un insensato accanimento terapeutico.

Nessuno potrà mai stabilire da che parte stia la ragione ma ad ogni uomo in grado di intendere e di volere  dovrebbe essere concessa la possibilità di decidere della propria vita e di dire basta qualora la scienza dichiarasse permanente l’impossibilità dell’organismo a vivere in maniera autonoma.

Così ai primi di Dicembre l’ufficio affari civili della Procura di Roma valuta il non ripristinare la terapia come scelta discrezionale affidata al medico.

Bisogna ammettere che l’Italia, a torto o a ragione, non è ancora pronta a valutare adeguatamente l’idea dell’eutanasia. Ma va sottolineata la differenza tra eutanasia “attiva” e “passiva”, tra uccisione diretta e sospensione delle cure, dell’alimentazione e dell’idratazione in caso di accanimento terapeutico cioè quando si persiste in terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del malato.

È quest’ultima  la situazione che ha avuto come sfortunato protagonista in questi mesi Welby e che è arrivata a una conclusione, dolorosa quanto giusta, per mano del dottor Riccio che ha posto in essere la volontà del malato.

Adesso le sofferenze di Welby sono finite, la sua anima, libera di svincolarsi  da quel corpo che, nonostante Tempio di Dio, ormai rappresentava soltanto un doloroso ostacolo, volteggia leggera al di sopra di tutte le polemiche, del perbenismo fine a sé stesso e di queste parole che presto saranno dimenticate.

Piergiorgio Welby è morto. A restare viva, lo spero, sarà la sua memoria e la volontà di riflettere di chi, non nascondendosi sotto una corazza, ha capito e capirà l’importanza che ha il dibattito in tutte le sedi per dare all’uomo la possibilità di morire con dignità. 

Antonino Fazio

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