Nel bel mezzo del montaggio di eco-abeti da salotto, il cui assemblaggio è in grado di far girare
per bene le palle (di Natale) dei più sfavillanti colori di quest’inverno che oscilla tra una bufera
tropicale e una gelata altoatesina, è opportuno soffermarsi su una riflessione cinico-giuridica che
non vuole farsi attendere in questo appuntamento dicembrino. A tal scopo, la parola che si intende evidenziare, approfondire e opportunamente propinare è: emolumento.
Vengo e mi spiego.
A chi non piace riempire la shopping bag dopo tre ore di fila dal neofita Primark?
Chi non ama ordinare ceste ricolme di luculliani salami, spumanti e cotechini per far felice il
proprio datore di lavoro o impressionare il futuro suocero?
Chi non subisce il fascino dei maglioncini con le renne e i festoni rosso fluo che profumano
violentemente di Colin Firth nel Diario di Bridget Jones?
Se ciascun lettore riscontra positivamente i quesiti di cui sopra, rivendicando con orgoglio la
propria appartenenza a una o tutte le categorie dell’elenco, per questi e molti altri momenti di
magico Natale all’insegna del consumo sfrenato e innamorato, non v’è chi non veda come ad ogni
azione di tal guisa corrisponda un bacio sotto il vischio e un portafogli dilapidato.
Infatti, se non vantiamo una carriera da cantautori come Mariah Carey o non abbiamo la fortuna
stagionale di Michael Bublè – fratelli e sorelle – per scongiurare il tracollo economico-finanziario che
neanche il ’29 a Wall Street, dobbiamo riscuotere qualunque emolumento ci sia spettato, ci spetti e
ci spetterà, probabilmente da qui al prossimo abbonamento al lido della Playa.
Emolumento – /emolu’mento/ – sostantivo maschile che deriva dal latino emolumentum, rappresentava per gli
antichi il compenso per la macinatura del grano. Adesso, possiamo semplicemente identificarlo
come la somma corrisposta a fronte di una prestazione di lavoro, il corrispettivo, il provento, la
remunerazione, insomma: i soddi.
Lasciamo cinicamente in soffitta i pensieri rigidamente buonisti che inneggiano al dimesso decoro e
identificano la gioia delle feste nella stalla con il bue e l’asinello. Senza emolumento non si canta
messa e qualunque cassiere vi troverete davanti, quando non sarete in grado di corrispondere il
totale per i vostri potenziali regalini non potrà che intonarvi «tu scendi dalle stelle» prima, e «mi
dispiace devi andare, il tuo posto è là (fuori dalla porta e lontano dai Pooh)» poi.
Il suggerimento, pertanto, è quello di cogliere due piccioni con una fava e sfruttare al meglio le
potenzialità di questo magico periodo dell’anno per sovvertire gli ordinari meccanismi di
funzionamento distorto della società in favore della sacrosanta, lavorata e meritata riscossione degli
emolumenti spettanti, che farà felici tutti i componenti della piramide alimentare del mercato,
dall’Agenzia delle entrate al nonno in fila alla posta per prelevare dal libretto.
E quindi tu, avvocato che attendi la liquidazione del gratuito patrocinio di una causa vinta tre anni
fa, incalza frattanto il cliente a cui hai preparato quaranta diffide e stampa fattura. E tu dipendente
amministrativo dell’azienda vattelappesca, conteggia al centesimo i minuti di straordinario lavorati
dal primo giorno di assunzione e fai saltare il banco dei vertici. E infine tu, proprio tu nonno, che
per anni sei stato aggirato dai nipoti e convinto che per un pacco di patatine servisse sganciare 10
euro, e che hai ben cinque nipoti, manda a quel paese la discendenza e conserva quel gruzzoletto
per una bella acqua di colonia che ammalierà interi corridoi della Rdi turno.
No money, no party guys!
Cheers and Merry Christmas.
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