Uno dentro al Villaggio della Solidarietà di Mineo, l'altro a Catania da tempo. Non si vedono da anni, ora sono vicinissimi ma non possono riabbracciarsi. Ecco la loro storia raccontata da un volontario del Centro Astalli
Due fratelli
Li incontro alla stazione di Catania. Riconoscono Ahmed e si avvicinano al finestrino. Sono una decina gli ultimi arrivati. Direttamente da Mineo. Etiopi ed Eritrei. Hanno lasciato la cittadina prima che venissero introdotti nell’ormai noto Residence delle Arance. Sono scappati e hanno attraversato le campagne della piana catanese. In mattinata, stremati, hanno raggiunto la città e hanno contattato Ahmed. Scendiamo dalla macchina. Li saluto in arabo. Hanno ancora i dollari americani in tasca, segno evidente che fino a pochi giorni fa i ragazzi vivevano a Tripoli, come mi dicono. Nessuno gli ha ancora preso le impronte, a quanto pare. Da Lampedusa a Mineo… E poi Catania. Non hanno la minima intenzione di chiedere l’asilo politico (che gli spetterebbe, tra l’altro) in Italia. Hanno le idee chiare: Inghilterra, Svezia, Svizzera, Francia. Per scappare dall’inferno libico ed attraversare il Mediterraneo hanno pagato. A Catania hanno trovato momentaneamente spazio, per gentile concessione dei ragazzi somali, al secondo piano del celebre “palazzo delle poste”. Trenta, più o meno. I più coraggiosi, come detto, sono giunti a piedi, aiutati dai cartelli stradali. Hanno mangiato le arance delle campagne. Ci tengono a precisare che “hanno rubato solo perchè avevano fame”. C’ è anche una donna tra loro.
Prima di salutarli intuisco, da quel poco amarico che conosco, che Ahmed ha qualcuno di molto caro a Mineo.
E’ suo fratello. Non lo vede da otto anni. E’ lì, a Mineo, che ci dirigiamo appena usciti da Catania. Sulla strada mi indica dei ragazzi sul ciglio, sono tunisini. Anche loro sono scappati da Mineo. Siamo a un chilometro dall’illuminatissimo residence quando incontriamo quattro ragazzi che si muovono in direzione del campo. Mi fermo. Gli chiedo se vogliono un passaggio.
Salgono. Sono tutti tunisini. Parlano solo l’arabo, il dialetto. Hanno il tipico accento del Sud. E infatti: due vengono da Djerba e uno da Gafsa. L’altro è della centralissima Bab El Bahr, la porta della Medina di Tunisi sull’ Avenue Habib Bourguiba. Il fatto che non parlino francese è emblematico. I ragazzi fanno parte della Tunisia povera e analfabeta, dimenticata e nascosta dal regime di Ben Ali. Possono uscire dal Residence fino alle 20 e possono rientrare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Assentarsi per un periodo che superi tre giorni non è consentito. E’ un operatore della Croce Rossa con cui fumo una sigaretta a dirmelo mentre Ahmed prova a convincere uno degli operatori addetti all’apertura e alla chiusura dei cancelli. Vuole entrare e cercare suo fratello. Non ci riuscirà.
Giovanni