«Ero sospeso su un cavo, a 80 metri, e pensavo a come poter fare lo stesso lavoro in maniera più sicura». Heli-lab, giovane azienda con sede ad Aci Catena, nasce così. Fondata da tre 30enni, ha ottenuto 120mila euro di fondi Invitalia «mai arrivati». I guadagni dai film finanziano progetti innnovativi
Droni, una start-up catanese tra cinema e ricerca «Nostra idea può aiutare a soccorrere i migranti»
«L’intuizione mi è venuta mentre ero sospeso nel vuoto». La Heli–lab, start-up catanese che lavora coi droni, nasce a 80 metri di altezza durante un’ispezione lungo la diga Enel del lago Pozzillo, a Regalbuto. «Ho pensato – dice a MeridioNews Antonio Raspanti, 35enne amministratore della società – che con un velivolo radiocomandato sarebbe stato possibile fare lo stesso lavoro in minor tempo, con maggiore sicurezza e più efficacia». Il progetto, condiviso e finanziato da due amici, ha fatto entrare la ditta nel mondo del cinema. I primi guadagni sostengono la sperimentazione di un brevetto che permetterà comunicazioni a distanza, utili anche per forze dell’ordine e soccorritori. Ma gli inizi sono stati difficili, a causa delle lentezze burocratiche nell’accedere ai fondi Invitalia, la società per lo sviluppo partecipata dal ministero dell’Economia.
La Heli-lab ha uffici operativi ad Aci Catena e succursale a Messina, dove ha sede il dipartimento di Ricerca e sviluppo. Da mesi collabora con l’università di Catania e Vico system alla sperimentazione di un brevetto del quale è comproprietaria. «Un sistema che permette comunicazioni a banda larga anche in zone scoperte dal segnale». A fare da ponte sono i droni, trasformati in computer che possono volare fino a 150 metri di altezza e trasmettere dati anche a 200 megabyte. «Innovazioni che potrebbero interessare alle forze dell’ordine ed essere utili pure ai soccorsi in mare». Il pensiero va alle stragi di migranti nel Mediterraneo. «Speriamo che le nostre idee possano essere utilizzate per scopi sociali come facilitare gli aiuti alle persone che rischiano la vita, attraversando il mare, alla ricerca di un nuovo futuro».
I costi del progetto di ricerca sono stati finanziati grazie ai guadagni provenienti da altri settori, per esempio quello cinematografico. «I nostri droni fanno anche riprese per cinema e fiction», come avvenuto per la produzione Rai Il giovane Montalbano. Ma i fondi per avviare l’azienda sono stati tutti a carico dei fondatori, nonostante la start-up avesse vinto un bando Invitalia. Si tratta di circa 120mila euro di fondi pubblici – metà a fondo perduto e l’altra da restituire da tasso agevolato – «necessari per comprare i mezzi, i materiali, le tecnologie – spiega Raspanti – che aspettiamo ormai da un anno e mezzo». Ma le lungaggini della burocrazia hanno spinto i tre ragazzi a trovare e anticipare «almeno 30mila euro di investimento – aggiunge l’amministratore – Dimostra quanto sia difficile, in Sicilia, fare nascere e mandare avanti un’azienda».
Il progetto è riuscito anche a fare riunire tre amici. «Ho subito pensato a due persone con le quali sapevo che, prima o poi, avrei lavorato», dice Raspanti. Lillo Scibilia è un ex collega di studi all’università di Catania, «che adesso elabora e sviluppa la meccanica dei droni». Giuseppe Spallina è un ingegnere che si occupa di telecomunicazioni. «Lo conosco da quando avevamo un anno. Insieme abbiamo combinato monellerie di ogni tipo», tante di queste pure ad alto contenuto tecnologico. «Da ragazzi modificavamo i modellini delle automobili radiocomandate per farne vetture con altri utilizzi». Principio che somiglia a quello che, fondata la Heli–lab, è divenuto un lavoro. «Compriamo i droni e, in laboratorio, li adattiamo a lavori di ripresa cinematografica, di fotografia, di ricerca, di comunicazione».
I campi di utilizzo della nuova tecnologica aerea radiocomandata – esplosa solo negli anni scorsi – sono svariati. L’idea che ha messo in moto l’impresa – nata nel 2014 ma operativa da maggio 2015 – per esempio, è nata durante un controllo di sicurezza strutturale della diga di Regalbuto. «Ero attaccato a una corda, sospeso su un viadotto, con seimila metri quadrati di superficie verticale da controllare palmo a palmo», ricorda l’amministratore che, in passato, oltre a lavorare nel turismo si è occupato anche di verificare la staticità di strutture sospese o imponenti. Un lavoro spesso rischioso, lungo e che, unito alla passione di Raspanti per l’aviazione, «mi ha fatto pensare che l’impiego di un drone, appositamente modificato per fare questo tipo di rilevazioni, poteva essere la soluzione migliore».