Il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) esitato dal governo regionale per il triennio 2012/2014 è, secondo quanto dallo stesso definito, lo strumento mediante il quale la Regione siciliana intende realizzare nel triennio individuato una politica di rigore gestionale in coerenza con gli obiettivi del Patto per l’Euro, approvato dal Consiglio europeo nell’aprile di quest’anno. L’analisi L’analisi che il documento fa dell’economia siciliana nel suo complesso, nonché quella settoriale testimonia delle difficoltà e delle insufficienze che caratterizzano il nostro apparato produttivo. Quello agricolo per le carenze della sua cultura imprenditoriale. I nostri agricoltori, infatti, sono degli ottimi coltivatori, ma non sempre atenti al mercata; da qui l’inesistenza del processo di verticalizzazione dei prodotti di filiera dov’è possibile recuperare i maggiori costi di produzione agricola. Con ciò esponendo le nostre merci alla concorrenza di quelle dei Paesi emergenti o di quelle immesse nel mercato dalle multinazionali, geneticamente manipolate a discapito della qualità e della salubrità alimentare.
A fronte di queste carenze il Documento ci ricorda l’esistenza, nelle disponibilità della Regione, dei fondi europei del Programma di sviluppo rurale (Psr), ma oltre a dare l’informazione sulla sua esistenza e sulle sue finalità, non indica alcun obiettivo da conseguire né nel breve, né nel medio, né nel lungo periodo. Le uniche indicazioni offerte dal Documento riguardano il sostegno alle biodiversità e la conversione dei terreni seminativi in pascoli permanenti.
Il settore industriale, dopo il tracollo del biennio 2008/2009 nel corso del quale la domanda è scesa di circa 25 punti e la produzione quasi del 20% (dati Bankitalia), ha mostrato un impercettibile segno di ripresa (0.4%), ma sconta la caduta verticale del numero delle imprese in attività. Un dato significativo: negli ultimi sei-sette anni le imprese artigiane che hanno chiuso i battenti si aggira tra le sei e le settemila (dalle 87 mila del 2003/2004 alle circa 80 mila di oggi), la gran parte delle quali nel comparto di produzione, intendendo quelle produttrici di beni per distinguerle da quelle fornitrici di servizi. Un processo di ridimensionamento è in atto anche nel settore delle costruzioni le cui imprese reggono sostanzialmente sui lavori pubblici.
Il terziario, infine, che in Sicilia rappresenta il settore trainante nella produzione di valore aggiunto (79%), ha fatto registrare appena lo 0.2% di crescita. Ebbene, nonostante queste premesse, il modello econometrico utilizzato dal governo regionale per le sue previsioni economiche prevede uno scenario di crescita del Pil (Prodotto interno lordo) in termini nominali del 3.1% nel 2012 e nel 2013 e del 3% nel 2014. Questa, in estrema sintesi, la programmazione economica del Documento governativo.
Altro capitolo è quello finanziario: esso è totalmente basato sulla disponibilità dei fondi strutturali europei. Ciò in quanto la Regione assorbe quasi interamente per la spesa corrente (79% riporta il rendiconto consuntivo dell’esercizio 2010) le risorse provenienti dalle entrate ordinarie. Quindi per investimenti le uniche risorse disponibili sono quelle indicate nel Dup, Documento unitario di programmazione regionale, che prevede il coordinamento – per i restanti anni 2012 e 2013 delle risorse destinate alle politiche di convergenza – del fondo per lo sviluppo regionale (PO.FESR), del fondo sociale europeo (PO.FSE) e il Fondo per lo sviluppo rurale (FEASR). Altre risorse sono (per fortuna) gestite mediante programmi nazionali ed interregionali per le quali la discrezionalità degli impieghi non è demandata in via esclusiva agli amministratori regionali. Questi progetti sono ben sette nazionali e tre interregionali, tra i quali quelli destinati alla Ricerca, alla Sicurezza, alle Energie rinnovabili, eccetera.
A fronte di questo quadro previsionale ci permettiamo di avanzare due o tre suggerimenti. Il primo: cambiare il modello econometrico ed adottarne un modello che dia valori reali e non nominali, perché una previsione di crescita del 3% implica a sua volta previsioni di entrate in bilancio virtuali che provocano, se interamente impegnate, un progressivo indebitamento. Ed oggi non è più possibile ricorrere al credito atteso il declassamento del rating da parte di Standard & Poor’s (da A+ ad A) e più di recente da parte di Moody’s (da A1 ad A3). Circostanze, queste, che rendono la Regione sempre meno credibile nel mercato finanziario ed a costi sempre più elevati. Il secondo: avviare una politica che, piuttosto che terziario (più o meno avanzato), promuova l’ampliamento dell’apparato produttivo nei settori di più avanzata tecnologia. Il terzo è un suggerimento-quesito: con l’apparato produttivo che si restringe com’è possibile ipotizzare incrementi di Pil delle dimensioni previste se con quello più ampio, che non c’è più, non si è stati capaci di superare lo 0…?
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