Guai a chiamare quello di Paolo Benvegnù, un progetto da solista. Lui correggerà immediatamente il tiro: «Noi siamo una band a tutti gli effetti…siamo “I Paolo Benvegnù” ovvero: Andrea Franchi, Guglielmo Ridolfo Gagliano, Igor Cardeti, Luca Baldini e Michele Pazzaglia. Paolo Benvegnù è il cantante ed è il pezzo meno pregiato, lo assicuro».
Perfetto, tutto chiaro, ma certo è che la “nuova band” del cantautore veneto, però, si affida molto al suo leader, al suo modo di scrivere, di foderare le canzoni di emozionalità e patos. Perché ci vogliono davvero pochi secondi per riconoscere un pezzo partorito dalla penna di Benvegnù: sarà per quelle storie d’amore che racconta così complesse, così viscerali, sofferte. Sarà per quelle relazioni di cui parla in cui «si mente a sé stessi, spesso non si è liberi e tutto diventa difficile e complica l’abbraccio, la carezza, il volersi. Sindrome che coinvolge ogni rapporto interpersonale». Sarà per quell’eleganza e sofisticatezza negli arrangiamenti, per la densità nella miscela di strumenti e voce, per certa ispirazione che è figlia del periodo d’oro del cantautorato italiano. O sarà, infine, per il fatto che Benvegnù si sente (e definisce) una «donna meravigliosa in un corpo di uomo dell’ottocento». Così sensibile, ma così orgoglioso, con un rapporto mai banale con la musica e con le sue opere.
Ne ha avuto una riprova il pubblico catanese che ha assistito al concerto dell’ex cantante degli Scisma al centro Zo, ritorno dei Benvegnù in Sicilia dopo l’ottima prestazione estiva al Festival YpsigRock di Castelbuono, vicino Palermo. La band porta con sé canzoni contenute nell’ultimissimo disco “Le Labbra” come La schiena, La distanza, Amore santo e blasfemo, Il nemico. Ma anche qualcosa dall’ep “14-19” e dal debutto del 2005 “Piccoli fragilissimi film”. Brani dal vestito rock, ma dal cuore pop. Canzoni che sono una tribolazione di sussulti e, appunto, piccoli fragili film esistenziali; pezzi dove non c’è scampo di uscirne indenni: vi si irrompe dentro per soffrirne assieme all’autore che li canta sul palco. Musiche che vibrano nello stomaco e che ti portano ad una sorta di catarsi.
Insomma, pezzi con talento, idee ma soprattutto con vita. Perché «da sempre si immagina, ma poco si vive».
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